Regia di Gan Bi vedi scheda film
Un film molto suggestivo e insolito, da vedere sicuramente, e rigorosamente, in sala, se si è cinefili per davvero...
Gan Bi aveva meno di trent’anni quando presentò a Locarno, nel 2015, il suo primo film, Kaili Blues, che colpì molto favorevolmente la critica*, e che non è stato distribuito in Italia.
Questo è ìl suo secondo film che, come il precedente, si differenzia da quelli dei registi cinesi “politici”, ovvero dei più noti Jia Zhangke e Bai Ri Yan Huo, per le importanti novità nel contenuto e nella forma che gli conferiscono un’insolita e potente suggestione. Le immagini, ricchissime di colore, di luci smorzate e di ombre, celano un accurato studio degli effetti tridimensionali, nonché una sofisticata tecnologia, largamente utilizzata nella seconda parte della pellicola, nella quale piccoli droni accompagnano gli spostamenti verticali della macchina durante un interminabile piano – sequenza, uno dei più lunghi mai visti al cinema.
Non è davvero poco, per un film che non è fantascientifico e non punta sugli effetti speciali.
Il film, infatti, è una recherche, dal sapore non proustiano: è un’indagine nel mondo della memoria strettamente correlato alla dimensione onirica della percezione, nella quale quale i ricordi si confondono e passato e presente non si distinguono.
ll protagonista, Luo Hongwu (Jue Huang), che vorrebbe vederci chiaro, soprattutto per capire chi è e ritrovare una donna molto amata, è costretto a confrontarsi con la dimensione storica del proprio passato dal sogno che lo riporta a a Kaili, non solo luogo della sua nascita, ma città antichissima che ha conservato le tracce di una civiltà remota, che non ha ancora del tutto perduto memoria di sé. Il suo ritorno, illuminato debolmente dalla luce delle candele, non gli offre alcuna chance di raggiungere lo scopo, poiché ogni possibilità di uscita, razionalmente governabile, da quel luogo, che solo parzialmente egli riconosce, è frustrata dalla sua stessa natura labirintica, dagli orologi senza lancette che non indicano il tempo, dagli specchi che non sempre rimandano immagini note, prolungando, forse senza fine, il buio della conoscenza.
Il ricupero del passato, ritenuto decisivo da Luo Hongwu è dunque un “viaggio”senza conclusione possibile, un obbligato “eterno ritorno” senza vie d’uscita nella dimensione senza tempo nella quale si confondono amori, affetti familiari, violenze e rivalità, verità e menzogne, dimensione onirica che non offre conoscenze realisticamente utilizzabili.
Il film ha caratteristiche di innegabile suggestione e diventa un’esperienza immersiva anche se, nella versione delle sale italiane, non è dato l’uso del 3D, ciò che, a quanto pare, è avvenuto in altra parte del mondo e che comunque è parzialmente avvertibile grazie alla potenza suggestiva delle cupe e claustrofobiche immagini che scorrono davanti ai nostri occhi nel lunghissimo piano-sequenza che (non) conclude il film.
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