Regia di Arne Glimcher vedi scheda film
“Ogni cazzata è considerata il mondo reale tranne l’insegnamento” (cit. Armstrong/S.Connery).
La giusta causa non è affatto un film malvagio, sia come legal sia come puro thriller.
Come legal-thriller piace la visione perimetrale che adotta sulle questioni cruciali nel dibattito sulla fairness della criminal procedure statunitense (benchè, chiarisco subito, trattasi di un approccio estremamente all’acqua di rose, nel senso che lambisce appena la superficie del/i problema/i).
Tematiche come la discriminazione razziale nelle persecuzione penale, l’ingiustizia del processo (palesata a tutti i livelli; indagini preliminari perpetrate con modalità brutali e irrispettose del diritto di difesa, istanza di legittima suspicione – rigettata - e discharge – negata – dei giurati bianchi ecc.) e crudeltà della pena vengono affrontate di petto fin dalle prime scene (dibattito pubblico partecipato dal Prof.Armstrong/S.Connery), a voler marcare lo caratura dell’impegno sociale del film.
Senza dimenticare la somma questione che spacca il dibattito sulla normazione processualpenalistica; (ovvero) se sposare la posizione della vittima (che ha subito il torto) o dell’accusato (che rischia la propria libertà personale, quando non addirittura la vita). E’ sufficiente porla a giusto coronamento del dibattito pubblico di cui sopra per stimolare il necessario interesse alla visione del film (anche se la dottrina giuridica insegna, giustamente, che la risposta sta nel mezzo, ovvero che occorre porsi nella posizione di chi non sa quale “ruolo” potrà dover ricoprire nell’aula di tribunale).
Il seguito, a ben vedere, smorza non poco questo entusiasmo (ma senza troppi danni). Su presupposti interessantissimi (come spesso capita) si dipana, infatti, una trama dai meandri torbidi (come delle Everglades della Florida dove è ambientata la vicenda) che, nella fase delle indagini difensive, “segue la corrente”, senza fuoriuscite impreviste.
Sino a quando arriva il momento della svolta (che non è quello dell’assoluzione del condannato) e allora il film cambia pelle (“merito” delle esplosioni di violenza schizoide dell’antagonista, un “mostruoso” Ed Harris) e motivi di attrazione (un senso di inquietudine penetra nella penombra nel tentativo di attecchimento); la tensione rimane alta e, nonostante alcune forzature e soluzioni narrative di modesto ingegno, la vicenda arriva poi a veloce conclusione (apprezzabile il minutaggio essenziale) con discreta abilità, alla maniera dei thriller (ciò che, alla fine, non mi fa rimpiangere più di tanto genere e registro della prima parte).
Dunque La giusta causa non è un film malvagio… ma nulla più.
Un antipasto per gli studenti delle Facoltà di Legge.
Un diversivo per gli amanti dei “thriller col mostro” (vicino di casa).
Nota di contorno: la figlia del protagonista (S.Connery) a distanza di pochi anni sarebbe diventato quella che oggi conosciamo come Scarlett Johansson (qui ai primissimi passi).
Quando si dice la gavetta.
P.S. Una battuta come quella riportata in epigrafe vale almeno una mezza stella extra (ergo 3 stelle in tutto); come minimo.
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