Regia di William Wyler vedi scheda film
Una pellicola che ha il vivace splendore di un giardino fiorito, e la deliziosa verve di un capriccio appassionato. In mezzo all'aristocrazia campestre del Dixieland, tra dame e gentiluomini abituati a lottare con la vita, la gracile figura di Giulia (Bette Davis) si muove con la grazia di un cigno e la preziosità di una maiolica, accompagnate da uno sguardo penetrante e languido da passerotto ferito che arriva a trapassare il cuore. La sua malizia (scambiata, dal mondo circostante, per la biblica malvagità di Jezebel) è il lato forte di un carattere gentile, nonché la fascinosa corazza della sua fragilità. I suoi sentimenti sono fiamme, che si consumano in un lampo, come il fugace rosseggiare del suo abito da sera sulla pista da ballo, oppure scaldano d'amore duraturo il fondo di un'anima devota e generosa. In questo film lo spirito del mélo è un profondo senso morale ammantato di nobili emozioni, in cui le convenzioni sono regole, ma l'etichetta non ha l'affettazione dell'ipocrisia di casta. "La figlia del vento" è un gioiello per lo sguardo, con quel dinamismo calibrato sulla naturale e gioiosa spettacolarità della vita; William Wyler dirige una variegata coreografia del cuore, in cui le forme in movimento sono un gorgheggiante controcanto alla narrazione. La coloritura a posteriori, pur privando la pellicola dell'originaria luce di diamante, ravviva le suggestioni visive trasformandole in un festoso bouquet, del quale, a tratti, sembra persino di poter sentire il dolcissimo profumo.
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