Regia di Alberto Rondalli vedi scheda film
Il tentativo nel cinema di realizzare un film che si avvale della figura retorica della ripetizione, cioè dello stesso racconto che si ripete ogni volta in modo diverso, con personaggi ed elementi simili ma tutti concentrici ad un'unica storia, ha fortune alterne.
Penso a due film di Nolan, Memento e Inception, o la commedia di Ramis Ricomincio da capo, giusto per citare i primi che mi vengono in mente.
Potocki, conte polacco giramondo ed avventuriero, ossessionato dai demoni e dal sovrannaturale scrisse a cavallo tra ‘700 ed ‘800 un'unica, misteriosa opera divisa in giornate, Il manoscritto trovato a Saragozza (Adelphi), caratterizzato da elementi che spaziano tra viaggio iniziatico, atmosfere gotiche e di fantasmi, avventure picaresche ed erotismo.
Gioco di scatole cinesi, l’opera è caratterizzata dal racconto principale, le avventure del giovane Alfonso che, sedotto da due avvenenti donne, al risveglio si rivelano i cadaveri di due impiccati.
Ci sono relazioni sanguigne, o di origini simili tra i personaggi delle “storie nella storia”, divisa in differenti giornate (nel film saranno dieci), e tutte ricondurranno ad un’unica vicenda, quella non scritta ma che in realtà si rivela come la biografia dello stesso Potocki nel descrivere la propria vita e le proprie ossessioni.
Rondalli, sceneggiatore, regista (suo anche il montaggio del film), tenta, forse con troppa ambizione e poca padronanza, di realizzare un’opera che è anche un capriccio, un gioco di specchi, di sogni alchemici e di torbide visioni (l’erotismo ed il demoniaco si abbracciano costantemente), costretto a sintetizzare le diverse giornate, annullando il potere delle singole storie e lasciando emergere il meccanismo scarno e goffo della divisione in giornate, il pubblico risente, smarrito, di ogni appiglio.
Sono lodevoli la fotografia, i costumi e le musiche, ma è nella sceneggiatura che, base di tutto il film, sono evidenti mancanze, vuoti, non c’è volontà d’interpretazione quanto quella di grattare la superficie di un’opera più complessa.
Anche il cast, a parte poche e lodevoli eccezioni (Umberto Orsini, Alessandro Haber e Jordi Mollà) sembrano smarriti ed isolati, bloccati nell’insufficienza da parte dello sceneggiatore/regista di dare organicità e soprattutto forza alle singole storie. Tutto si svolge rapidamente e goffamente, con spiegazioni inutilmente verbose.
Probabilmente sarebbe stato necessario ridurre il numero di giornate per dare più chiarezza agli intrecci, oppure realizzare una serie tv che racconti ogni singola storia, restituendo l’aura ossessiva, di magia ed avventura, dell’opera originale.
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