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Il professore e il pazzo

Regia di Farhad Safinia vedi scheda film

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La recensione su Il professore e il pazzo

di alan smithee
3 stelle

La storia è tratta da un fatto realmente esistito.... ma la circostanza non aiuta granché ad assicurare un esito finale convincente alla bolsa pellicola che ne riassume i dettagli.

Con un certo scetticismo, verso la fine dell'800, la direzione dell'Università di Oxford affida all'erudito autodidatta James Murray, il gravoso ed assai impegnativo compito di racchiudere in un dizionario tutte le parole dello scibile inerente la cultura anglosassone. Operazione che, nonostante la preparazione dell'uomo ed il suo entusiasmo, si rivela presto una missione assai ardua e assai dispersiva che rischia di procrastinare la conclusione dell'opera a date non facilmente preventivabili.

Il caso vuole che l'uomo riceva una lettera da parte di un altro coltissimo individuo: il professor William Chester, ricoverato in un manicomio dopo essersi reso autore di un omicidio compiuto in preda ad un delirio immotivato, a causa del quale ha reso vedova una moglie giovane con sei bambini da sfamare.

Mentre seguiamo il percorso espiativo di quest'ultimo, impegnato a mantenere la donna e la sua prole da una miseria altrimenti fatale, nel contempo seguiamo il rapporto epistolare che consente a questo di contribuire non poco all'arricchimento del complicato vocabolario in corso di faticosa gestazione.

Una operazione titanica che vedrà la sua fine diversi anni dopo la morte di entrambi i fautori. 

Il film - kitch sin dal manifesto vintage, se non proprio demodé - voluto, prodotto e concepito da Mel Gibson - come attore insolitamente e beneauguratamente pieno di contegno e tutto mezze misure - che ha voluto come direttore un suo vecchio collaboratore dei tempi de La passione di Cristo,  l'iraniano P.B. Sherman (nome d'arte di Farhad Safinia), si dimostra presto un polpettone retorico e melenso che serve solo a un manierato, incontenibile Sean Penn con barba e capelli di ogni colore (ma in generale il film è la fiera delle barbe incolte), di adoperarsi in scene madri imbarazzanti e goffe, in cui la pazzia del suo personaggio si alimenta grazie ad un doloroso senso di colpa che rende l'uomo assolutamente incontenibile ed ingestibile.

Parimenti la sotto-storia del percorso espiativo del folle assassino diviene l'occasione scellerata per rincarare la dose su sentimenti di pietismo e di celebrazione di sensi di colpa in grado di ingolfare la pellicola e renderla a tratti sin imbarazzante.  

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