Regia di Brian De Palma vedi scheda film
Durante una abituale ronda di pattuglia serale, due agenti danesi da tempo amici e legati da una solidale reciproca problematica di abuso di alcolici ormai appannaggio del passato, vengono coinvolti nell'inseguimento di un nero, sospettato di collaborare con le cellule terroristiche legate all'Isis. Costui ferisce gravemente il più anziano tra i tutori dell'ordine, mentre l'altro, incerto se prodigarsi nei soccorsi o darsi all'inseguimento, perde di vista il fuggitivo, dopo un rocambolesco inseguimento tra i tetti di Copenaghen.
Fuggira', il sospettato, trovando appoggio tra i tentacoli voraci e maliziosi di una CIA che sa molto di più rispetto alla polizia, ma che interviene solo quando le conviene.
In aiuto al giovane poliziotto sopravvissuto, si unirà una piacente agente donna, che si scoprirà particolarmente motivata ad intervenire.
I due finiranno fino ad Almeria, nel sud della Spagna, ove i terroristi stanno per mettere in atto e per documentare l'ennesimo, sanguinoso attentato contro un Occidente a loro giudizio corrotto e meritevole di indiscriminate punizioni esemplari.
Il tanto atteso e travagliato ritorno in regia del fantastico cineasta Brian De Palma, uno dei miei preferiti in assoluto, possiede almeno due sequenze magistrali che ci fanno sussultare di ottime sensazioni e brividi: all'inizio, il concitato inseguimento sui tetti e la ripresa insistita delle bancarelle colme di pomodori rosso sangue (pomodori e salsa che divengono un curioso e bizzarro richiamo lungo tutto il film), e prima ancora la macchina che sorvola l'intimità erotica del protagonista, rivelandoci in anteprima la sia fatale disattenzione.
Tutto ciò coadiuvato dalla irrinunciabile e concitata colonna musicale retro' del fidato Pino Donaggio, dagli split multipli di cui ci ha reso succubi De Palma, dalle riprese ellitiche di scalinate a struttura di chiocciola in grado di stregarci, oltre a quel gusto dell'autore di sostituirsi spesso allo sguardo dello spettatore, illudendolo di captare ogni dettaglio cruciale, nascosto dietro un malizioso quanto palese svelamento.
Poi, e assai troppo presto, purtroppo, iniziano i guai: il film insegue la sua pista tortuosa che lo porta sino in Spagna, ma viene massacrato da un montaggio folle ad opera di produttori senza scrupoli né rispetto per l'autore, che mutilano la storia ed il film in modo vergognoso ed imbarazzante. Attori protagonisti non certo a caso scelti tra il grappolo dei privilegiati divenuti divi grazie al successo interplanetario quasi senza precedenti della saga de Il Trono di Spade: Nikolaj Coster-Waldau glamour e comunque già assai noto, e quella faccia da icona sacra della Carice van Houten, qui impassibile come una pietra tombale, con quel viso ovale alla Adjani perfetto nella sua fissità come una bambola di porcellana, in una posizione completamente fuori parte e fuori posto. Li affiancano un grintoso Guy Pierce che sparisce in modo ridicolo, e due noti attori danesi di razza come Soren Malling e Paprika Steen.
Certo che se il final cut di un film spetta ai produttori e non al regista, non si capisce che senso possa avere la funzione di quest'ultimo all'interno di un'opera cinematografica, se non quella, in tal modo svilita e servile, limitata alla direzione e coordinazione delle singole e qui pure spesso belle scene, in questo caso cariche di tensione, ma senza poter avere il diritto di coordinarle in una propria sequenza scelta e ragionata.
Domino, film mozzo giustamente ripudiato per tale ragione da De Palma, ma senza che l'autore si sia tuttavia potuto sottrarre dal venir coinvolto, sarebbe stato destinato a divenire il tipico pasticcio produttivo che, fino a tutti gli anni '90, sarebbe stato caratterizzato da distribuzione sulle spalle e responsabilità di quel capro espiatorio generoso e autolesionista conosciuto col nome di Alan Smithee.
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