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Che fine ha fatto Baby Jane?

Regia di Robert Aldrich vedi scheda film

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La recensione su Che fine ha fatto Baby Jane?

di Kurtisonic
10 stelle

Lezione di cinema in soli dieci minuti, firmato R.Aldrich. Dopo arrivano i titoli di testa, eppure con veloci stacchi di ripresa, un montaggio di scansioni temporali  di mezzo secolo, minando già alla radice la certezza dello spettatore sulla contemporaneità della vicenda, il film ha già raccontato moltissimo. Ovviamente, dieci minuti e non solo, il regista capace di rivisitare generi diversi offrendo una approfondita e spietata analisi della psicologia dei suoi personaggi, riesce in poche sequenze a ridefinire il contesto esteriore e ambientale nel quale le due protagoniste hanno vissuto, ed ora invecchiano rinchiuse e protette nella casa di famiglia. Jane, prima bambina prodigio, poi attrice fallita e alcolizzata, odia la sorella a cui provvede, Blanche, attrice dal passato di successo, paralizzata e costretta sulla sedia a rotelle dopo un incidente del quale è ritenuta responsabile Jane, grazie ai guadagni ottenuti in carriera mantiene la sorella malgrado l’avversione che l’altra manifesta. Aldrich costruisce con due personaggi un formidabile ritratto di un corpo unico nel quale convivono i bisogni, i desideri la colpa, le verità che le due sorelle custodiscono. Baby Jane (Bette Davis) vestita e acconciata ancora come quando era un oggetto di pubblico successo, simile alla bambola di grandezza naturale, venduta con la sua fugace apparizione sui palcoscenici, è in preda al delirio e avviata alla follia. Blanche (Joan Crawford) ridotta a difendersi dalle angherie della sorella e dalla quale però dipende anche la sua esistenza è la maschera della bontà e della generosità, combattuta fra l’affetto che la porta a sottovalutare la crudeltà di Jane e il desiderio di una condizione di vita migliore che inevitabilmente escluderebbe la presenza della sorella. Ma potrebbe non essere quel che sembra, anzi nel cinema  e nella realtà non lo è quasi mai. Aldrich compone attraverso il profilo psicologico di Jane un modello sociale estremamente attualizzabile, rappresenta il prematuro sfruttamento di un possibile talento, non consolidato per insondabili eventi vissuti o semplicemente per una mancata crescita artistica, una fasulla formazione spacciata come significativa dalla macchina dello spettacolo, dunque destinata a spegnersi in breve tempo. La ritroviamo vecchia, rancorosa e incattivita, capace solo di riversare rabbia contro chi ha avuto successo e chi lo ha saputo conquistare, attribuendo loro il proprio fallimento artistico ed esistenziale, non a chi ha creato dentro di lei l’illusione di essere quello che non era. Aldrich fa di  Jane  un feticcio della collettività, adulata e divinizzata come oggetto da salotto (pari alla bambolona che la riproduceva) simbolo del successo facile e immediato, in uno spazio pubblico che sta fra il concetto mercificatore della società dello spettacolo e i futuri 15 minuti di gloria warholiana che in qualche modo condensano a proprio uso e consumo il sogno americano. Le sequenze memorabili e significative sono numerose, i rimandi artistici e letterari sono presenti lungo tutto l’arco della vicenda, intrisa di un senso tragico incombente, pieno di una tensione drammatica che gravita sui piani ravvicinati dei volti delle due attrici, qualcuno ci vide delle sfumature horror, Aldrich mostra l’orrore del quotidiano, quello che non si vede, quello dietro la porta  di casa chiusa a tripla mandata.  Vorrei sottolineare la corrispondenza fra due scene in particolare, una iniziale e quella di chiusura che appartiene alla storia del cinema. In apertura un’indisponente Baby Jane fa i capricci con i genitori dopo un’esibizione e vuole un gelato per lei e la sorella davanti ad un gruppo di persone. Blanche viene rimproverata dal padre perché lei non lo vuole, la folla si fa pubblico e anziché criticare i vizi da piccola star di Jane, biasima la qualità educativa dei genitori. Il pubblico esprime già quella mancanza di valore critico verso l’oggetto  del successo, decretandone la validità artistica di scelta e di pensiero, in quanto merce offerta ai loro occhi e alla portata di una facile comprensione. Il finale come detto, è di una bellezza  poetica e di una devastante drammaticità destinata a rimanere nella mente degli spettatori. Finalmente all’aria aperta con le carte in tavola, le verità emergono e Jane con due gelati in mano ritrova un pubblico,  che verosimile e folle assiste ad uno spettacolo, le persone presenti  non possono coglierne il significato e tantomeno il senso nascosto, ma  in qualche modo  è permesso loro di  entrare nella rappresentazione, di farne parte. Somebody to love.    

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