Regia di Gennaro Nunziante vedi scheda film
"Il vegetale" è Fabio, venti e qualcosa anni, senza un lavoro, afflitto dalla prematura morte della madre e dal matrimonio a suo dire affrettato del padre con un'altra donna. Proprio il padre lo mette nei guai, finendo all'ospedale dopo un incidente d'auto e involontariamente affidandogli la ditta di famiglia: nulla è in regola nell'azienda e Fabio la trascina alla rovina, mandando anche a processo il genitore. La svolta per il ragazzo arriverà durante una trasferta in centro Italia per uno dei tanti lavoretti senza futuro che si ritrova a fare.
Due sono le buone notizie, in questo film che di buono ha in realtà poco: la prima è la conferma della capacità strabiliante di Gennaro Nunziante - anche regista - di scrivere copioni solidi come macigni, colmi di dettagli verosimili, che filano per il verso giusto nei toni e nel ritmo; la seconda è la versatilità di una webstar quale Fabio Rovazzi, con quell'espressione da perenne "mio malgrado", da "non volevo essere qui" che però funziona sullo schermo e anche bene. Rovazzi è inoffensivo, piace alle mamme, è tanto per bene: sarebbe stato facile calcare la mano su queste sue 'doti', o ancora più semplice ribaltarle creandogli addosso un personaggio trasgressivo e inatteso; invece Nunziante lo mette al centro di una storia viva, che brilla di luce propria e che quindi non punta affatto sul protagonista, ma che non per questo è esente da difetti e pecche, anche gravi. Il vegetale è, tanto per cominciare, una commedia leggerina permeata di buonismo, che si inserisce nella realtà dell'Italia contemporanea senza affondare mai il colpo: parla di lavoro in nero, di disoccupazione giovanile, delle follie e delle disgrazie dei suoi giorni, ma tenendosi ben lontana da qualsiasi minimo parere politico o da qualsiasi interpretazione di tali fenomeni; è tutto finalizzato al lieto fine e, quando lo si intuisce - cioè molto presto, la magia svanisce d'incanto. Altri interpreti di rilievo: Ninni Bruschetta, Luca Zingaretti, Alessio Giannone (alias Pinuccio), Paola Calliari e, in un paio di cameo speculari all'inizio e alla fine della trama, Barbara d'Urso nei panni di sè stessa. Se l'idea del nome Fabìo per una ditta di prodotti biologici è piacevolmente sopra le righe, la maggior parte delle trovate della sceneggiatura - per quanto ben scritta sul piano formale, va ribadito - pare assolutamente sotto tono. 3,5/10.
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