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L'isola dei cani

Regia di Wes Anderson vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'isola dei cani

di obyone
7 stelle

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L'isola dei cani (2018): scena

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L'isola dei cani (2018): scena

 

C'è un'isola in Giappone deputata alla raccolta e allo stoccaggio dei rifiuti in cui i cani trascorrono gli ultimi giorni di vita prima che la malattia, la fame o qualche duello sanguinario ponga fine al loro supplizio. Sono stati banditi dal sindaco Kobayashi che non vuole animali malati per le vie di Megasaki ed ha risolto la questione con l'esilio coatto per tutti i canidi: sani e malati. Ma non tutti approvano la decisione, a cominciare dal giovane Atari, nipote e pupillo di Kobayashi, che cerca di riportare a casa il suo amico a quattro zampe, Spots, il primo cane deportato. Non sono d'accordo nemmeno i (pochi) giovani attivisti guidati dall'eccentrica Tracy ed il dottor Watanabe che va dicendo di aver scoperto una cura per salvare gli animali da morte certa. Mentre quest'ultimo viene ucciso in un complotto ordito per mantenere lo status quo, il giovane Atari atterra miracolosamente con un velivolo di fortuna nell'isola dei cani dove viene soccorso da una banda capitanata dal randagio Chief. Il cane dimostra presto la sua tempra eroica e volendo mantenere il ragazzo a debite distanze finisce, invece, per affezionarsi. I due compagni partono, così, "alla ricerca di Spots" in un viaggio inconsueto in cui il cane mostra il suo nobile animo aiutando il giovane Kobayashi quando uno squadrone inviato dal sindaco in persona cerca di porre fine al fattaccio che sta creando scompiglio e forse ripensamenti alla vigilia delle elezioni che servono a riconfermare la dinastia al potere...

 

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L'isola dei cani (2018): scena

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L'isola dei cani (2018): scena

 

Wes Anderson sposa la causa ambientalista ed animalista e non risparmia critiche verso il potere e verso chi lo asseconda. Il suo nuovo film si svolge in un'enorme discarica circondata dal mare dove la vista degli elettori non può arrivare, ed il degrado ambientale (impossibile non pensare al Pacific Trash Vortex) è confinato materialmente ed ideologicamente per risparmiare ai cittadini il disturbo di pensare.

Gli animali sono evidentemente accomunati alla sporcizia. Sia che vengano abbandonati negli esodi estivi o nelle disabitate isole cinesi il registra vuole dimostrare che il concetto non varia: occhio non vede cuore non duole. Non manca la satira verso il potere (che non vuol vedere e non ha cuore che dolga) rappresentato da una casata che governa il paese da secoli e che ricorda le tante dittature odierne o del recente passato che fagocitano poteri su poteri alla stessa velocità con cui l'uomo produce pattume. L'umanità, secondo il regista, preferisce non guardare a fondo la corruzione delle proprie istituzioni per oggettivi interessi personali o perché preferisce una certa qualità di vita alla militanza, anche se il prezzo da pagare è l'omologazione della ragione.

Nonostante i temi trattati Anderson non se la sente di portare il racconto alle estreme conseguenze mantenendo un alone di fiaba fanciullesca nella narrazione. I cani tornano a vivere coi loro padroni e vengono risanati dall'antidoto di Watanabe mentre la famiglia Kobayashi rimane a governare la città. Il sindaco offre al nipote ferito nei tumulti il proprio rene (il potere) in una staffetta che, oserei dire, si adatta meglio alla cultura orientale che al pensiero arrivista occidentale. La fine subita dai funzionari preposti allo sterminio di massa dei cani, a causa di un hacker militante, è il momento in cui la sottile ironia dell'autore raggiunge l'apice. La storia, del resto, è piena di persone che hanno sostenuto una causa sbagliata per il proprio tornaconto, salvo poi subire l'annientamento atroce del crollo dell'ideologia che hanno servito.

Il regista americano sfodera il suo personalissimo stile e, sotto la patina del manga giapponese e dietro ai pupazzi animati, racconta una storia adulta in cui sovrappone il concetto di lager a quello di canile e ci ricorda come l'uomo non abbia difficoltà a ghettizzare gli animali quanto i suoi simili. Tecnicamente straordinario, visivamente affascinante e dotato di un Sense of humor decisamente nerd. Qualche slancio emotivo avrebbe reso il nuovo giochino del maestro più facile da amare ma credo che lo stile adottato sia più allineato alla rappresentazione del carattere giapponese fatto di inchini e senso dell'onore. Poco importa se l'onore appartenga con maggior vigore alla razza canina che si muove secondo un'etica precisa che esclude l'assassinio e l'abbandono preferendo solidarietà e spirito di gruppo. Un'etica andersoniana che ha garantito all'autore il meritato premio alla regia all'ultima Berlinale.

 

Cinema Teatro Santo Spirito - Ferrara

 

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L'isola dei cani (2018): scena

 

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