Regia di Wes Anderson vedi scheda film
Uno dei privilegi di chi ha la possibilità di fare cinema, è quello di poter creare mondi dal nulla, spesso mettendoci dentro sprazzi d’infanzia e ricordi o piuttosto quelle manie che ci portiamo dentro. Certo, ciò accade anche al “semplice” scrittore ma, nella settima arte si ha l’occasione di tramutare in immagini pensieri che ci accompagnano da una vita.
Wes Anderson sembra fare questo nella sua ultima pellicola. Costruisce un mondo e personaggi di cui palesemente conosce pregi e difetti, abitudini e passioni. Si avvale della tecnica della stop motion dopo aver creato i suoi protagonisti con la plastilina e, nel caso dei cani, che sono poi i personaggi più numerosi, peli sintetici, proprio per rendere il tutto più preciso, come a voler traslare ciò che si porta nella memoria.
L’ambientazione è volutamente nipponica, l’intento è quello di omaggiare il cinema di Miyazaki e Kurosawa; e lo si nota principalmente nell’utilizzo dei colori che rispecchia il mondo giapponese e non ci consente di mettere mai in dubbio l’ambiente. Il connubio con lo stile estremamente colorato, tipico del regista, è un piacere per gli occhi e non solo.
Tutto è Wes Anderson. Nelle magica combinazione che crea tra le musiche e le inquadrature; quelle sue classiche, tipiche, con il soggetto sempre al centro per garantirgli l’attenzione dello spettatore, e il resto tutto intorno, che fa da contorno. Nel protagonista, solo al mondo contro tutti, come sempre nelle sue pellicole. Nei cani, dalle origini della sua filmografia, c’è sempre un amico a quattro zampe che all’improvviso si insinua nella vita di uno dei protagonisti, e (guarda caso!) si chiamano tutti in un modo in cui Wes li ha già chiamati nelle pellicole che precedono questa. Ennesima dimostrazione che nel suo cinema tutto torna, tutto ruota intorno al suo passato, alle sue esperienze e ai suoi sogni; perchè Anderson altri non è che un sognatore che ha avuto la possibilità di prendere i suoi sogni, metterli su carta e mostrarceli.
Non ha paura di ostentare il crudo coinvolgimento dei sentimenti che sono presenti, in misura più o meno ampia, per tutta la durata della pellicola. Ed è proprio questo che ci permette di discernere questo film dai più “classici” film d’animazione: la capacità di coinvolgere lo spettatore non solo visivamente ma anche e soprattutto emozionalmente, come spesso non accade nemmeno nelle più drammatiche pellicole.
Unica piccola, passabile, pecca è l’assestamento del ritmo sul finale, laddove inizialmente il film si caratterizza proprio per l’euforia che lo anima. Mi piace pensare che questo rallentamento sia dovuto alla nostalgia che, impossessatasi del corpo e dell’anima di Anderson, impedisse al regista di porre fine alle riprese. Come accade ogni qual volta ci troviamo in quel sogno dal quale non vorremmo svegliarci mai.
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