Regia di Wilma Labate vedi scheda film
La mia generazione è un film che si muove su un terreno sdrucciolo in un malfermo equilibrio tra due posizioni contrapposte ferocemente.
Un film che procede su un crinale pericoloso in bilico tra la rivalutazione approssimativa e frettolosa della lotta ideologica(prima) ed armata (poi) e la risposta dello Stato a questi rigurgiti di rivolta.
Scritto in parte da due militanti di questi gruppi eversivi, l'opera della Labate è precisa nelle notazioni, circostanziata nella descrizione degli umori e degli ambienti soffocanti di cui il film letteralmente si nutre.
Ed è proprio per questo che si possono perdonare eccessi di fioritura in fase di scrittura legati soprattutto a quel minimo di tentativo di empatizzazione che sembra caratterizzare il capitano nei confronti del prigioniero, oppure alla parte in cui è protagonista Francesca Neri che appare slegata dal contesto. Viene da pensare che questa sezione serva proprio per interrompere anche cromaticamente il plumbeo viaggio in cellulare che da Sud porta il terrorista Braccio verso Nord,per vari colloqui con la sua ragazza che nel frattempo sta combattendo per costruirsi una nuova vita, alla luce del sole.
Braccio e il capitano dei carabinieri non sono semplicemente due uomini che rispondono alla propria coscienza o a ordini superiori:sono due simboli.
L'antistato e lo Stato.
Inconciliabili esattamente come materia e antimateria.
La mia generazione è la testimonianza di un fallimento culturale ed ideologico, è la certificazione di uno stato irreversibile di rassegnazione alla sconfitta, è uno sguardo accorato e doloroso a quelli che sono stati i nostri anni di piombo.
Sotto le spoglie di un anomalo road movie in cui quello che accade fuori non interessa(al contrario di quello che impone normalmente il genere), Braccio e il capitano mettono in scena l'impossibilità di comunicare: lo Stato non può scendere a patti in nessun modo con le cellule eversive che ne minerebbero le fondamenta.
Eppure il personaggio di Braccio è l'unico che rispetta una sorta di codice etico. Non un personaggio tratteggiato in positivo, semplicemente un uomo coerente con le proprie idee e incrollabile nelle proprie convinzioni.
Ha imboccato una strada senza uscita , quella voce che esce dalla cornetta del telefono è solo un ulteriore rigirare il coltello nella piaga.
Meglio rinunciare e affidarsi a un futuro dietro le sbarre.
Encomiabile la prova dei due protagonisti, Claudio Amendola e Silvio Orlando in due parti complesse.
Ottimo lavoro sugli attori e sulle atmosfere
molto bravo
di bravura sorprendente
la sua parte appare slegata dal contesto, anche se il personaggio merita...
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