Regia di Sadrac González-Perellón vedi scheda film
Tra il fanta-thriller alla Black Mirror ed uno spottone venuto lungo della pubblicità progresso iberica sulla guida sicura, è un pippone filosofico e criptico a base di pulsioni edipiche, survival movie da invasioni domestiche e riflessioni en passant sul tema dell'dentità, dell'alterità e della responsabilità civile in caso di sinistri.
Alice ha un braccio cibernetico, un padre premuroso ed un cane parlante che chiama mamma. L'apparente tranquillità del menage domestico nella villetta postmoderna immersa tra i boschi dove vivono, viene improvvisamente turbata dalla presenza di tre estranei che si introducono in casa con l'inganno e da un misterioso monolite cubico che dispensa consigli sibillini.
Tra un espisodio fanta-thriller della serie Black Mirror ed uno spottone venuto lungo della pubblicità progresso iberica sulla guida sicura, questa seconda prova nel lungo dopo la co-regia del pluripremiato Myna se va, conduce il giovane Sadrac González sulla strada maestra degli esordi nel cinema di genere: quella del pippone filosofico e criptico a base di pulsioni edipiche assortite (Kynodonthas), survival movie da invasioni domestiche sullo sfondo di lontane apocalissi (Into the Forest) e riflessioni en passant sul tema dell'dentità, dell'alterità e della responsabilità civile in caso di sinistri con le macchine (Ex Machina); non solo quelle a quattro ruote.
Se la regia mette subito le cose in chiaro, con una messa in scena dove il piano sequenza e la rappresentazione quasi teatrale di tableaux vivants con delitto sono funzioni esplicite di una minaccia incombente e di una tragedia della vendetta senza movente, è la struttura circolare e la pretestuosa parcellizzazione in capitoli che ne ridimensiona le capacità espositive, perdendosi da un lato nella grottesca boutade di amenità futuribili (una protesi meccatronica, una reincarnazione canina) e dall'altro in un confuso processo di accumulazione degli indizi che si traduce nella classica risoluzione finale di un Deus ex machina a forma di monolite nero, un moderno oracolo dei tempi possibili che liquidi in un sol colpo tutte le incongruenze ed i buchi di sceneggiatura che le approssimazioni dello script si portano inevitabilmente dietro. Non mettendo in dubbio le legittime ambizioni di un prodotto di genere che ricerca la sua originalità più nella costruzione del climax che nel dejavù (è il caso di dirlo) di personaggi in cerca d'autore e di una storia con cui giustificare il proprio destino (il padre si chiama Adamo, ha perso Eva per strada e la figlia Alice va per boschi con un bianco...cane), magari subendo l'assedio di un nemico insospettabile che si è introdotto in casa grazie al più classico dei cavalli di 'troia' (si sa tira più un pelo...che una mandria di buoi), è proprio l'abc della sintassi filmica che fa difetto ad una storia che avrebbe sofferto meno nella compattezza di un metraggio più adatto alla serialità televisiva che alle aspettative delle produzioni destinate al grande schermo. Insomma una favoletta con un messaggio morale di sconcertante banalità (Ah, se potessimo riavvolgere il nastro della vita!), dove i paradossi di conoscenza e di coerenza delle linee temporale chiuse non impediscono ad un individuo di uccidere uno dei possibili se stesso (Heinlein docet) pur di impedire ad un altro se stesso di uccidere qualcun altro diverso da se stesso. Magari la prossima volta basta andare più piano. Immeritata nomination al Sitges - Catalonian International Film Festival 2017.
Ma dove cazzo sono finite le chiavi della macchina?
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