Regia di Giacomo Durzi vedi scheda film
Il caso letterario di Elena Ferrante è qualcosa di unico non solo in Italia ma da qualche tempo anche all'estero; in particolare, negli Stati Uniti, dove la febbre nei confronti della scrittrice italiana ne ha fatto un vero e proprio fenomeno artistico e pure commerciale, se è vero che il Times nel 2016 l'ha inserita tra le 100 persone più influenti del mondo. Un titolo, quest'ultimo, che appare tanto più paradossale se si tiene conto che la popolarità internazionale raggiunta dalla scrittrice italiana viene a mancare dell'elemento che al giorno d'oggi conta forse quanto, o più, delle qualità intrinseche dell'opera propagandata. La Ferrante, infatti, fin dal suo primo libro ("L'amore molesto", 1992) ha deciso di conservare il proprio anonimato, mantenendo una riservatezza che nel corso degli anni ha comportato non solo la cancellazione di qualsiasi forma di apparizione mediatica, sia essa pubblica che privata, ma soprattutto una presenzialità, di fatto ridotta alle brevi note rilasciate dall'autrice a margine delle uscite dei propri libri. Se le implicazioni della scelta operata dalla Ferrante appaiono legate a motivi strettamente personali, di cui fin qui non è stato dato modo di sapere le ragioni, non c'è dubbio che la questione meriterebbe di essere studiata e approfondita per le proporzioni di un successo che scombussola le leggi del mercato e mette in discussione le varie teorie imprenditoriali e di marketing.
Affascinato dal mistero che ruota attorno al rapporto che unisce l'esistenza della protagonista a quella delle opere da lei realizzate, ma anche conscio della difficoltà di restituirne un quadro d'insieme di cui, a parte i libri, non si hanno altre notizie, "Ferrante Fever" diretto da Giacomo Durzi compie due tipi di rinunce: da una parte, evita di trasformare il suo resoconto nell'indagine intorno all'esistenza della fantasmatica autrice, scansando la tentazione di sposare il lato più sensazionalistico della questione, dall'altra, recede a priori dal tentativo di entrare nella testa della scrittrice, tentando di spiegarne le origini di un processo creativo che la mancanza di riscontri relegherebbe a mera ipotesi. In questo modo, come dice anche il titolo (preso in prestito da una trovata utilizzata da una libreria newyorkese per reclamizzare i romanzi della scrittrice), a essere prese in considerazione dal film sono le dimensioni di un successo testimoniato dal prestigio di alcuni lettori d'eccellenza come Elizabeth Strout, Jonathan Franzen e Roberto Saviano, di Mario Martone e Roberto Faenza che dai romanzi della Ferrante hanno ricavato un film (rispettivamente "L'amore molesto" e "I giorni dell'abbandono", presenti con diversi spezzoni), e ancora di Ann Goldstein, traduttrice americana dei libri della Ferrante. Accomunati dal medesimo entusiasmo nei confronti dell'autrice e chiamati a ragionare, ognuno dal proprio punto di vista, sui motivi che ne hanno decretato un così vasto consenso, ciò che emerge da parte degli interpellati è la capacità della Ferrante di restituire il femmineo con una capacità d'introspezione e una visceralità sconosciute alla produzione letteraria degli ultimi 150 anni. Affermazioni sicuramente esagerate e, tuttavia, utili a spiegare le caratteristiche di un entusiasmo che, proprio per essere fuori dal normale, non prevede mezze misure. Sarà forse per questo che alle monolitiche certezze espresse nei contenuti delle sue interviste, Durzi affianchi un dispositivo visivo più sfumato e sobrio, in cui sopratutto le animazioni curate da Mara Cerri contribuiscono a restituire la Ferrante a una dimensione più nascosta e defilata, dove sono le sue parole (tratte da "La frantumaglia") e non altro a parlarci di lei. Elengante e piacevole "Ferrante Fever" spinge chi guarda a entrare in libreria e a farsi contagiare dalla febbre del titolo.
(pubblicata su ondacinema.it)
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