Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film
Secondo il Bruschini-Tentori Gassman e Villaggio entrarono un po’ spiazzati nel progetto tanto da suggerire così al regista il titolo del film. Invece, per Marco Giusti e per le sue testimonianze raccolte, furono proprio i due mattatori a proporre il film poi pesantemente modificato da Corbucci in regia. Vicende produttive a parte, il penultimo western del grande regista di Django ha già un sapore crepuscolare, poi amplificato e tematizzato più compiutamente nel successivo Cronaca Criminale Del Far West. In questa commedia picaresco-rivoluzionaria Gassman e Villaggio interpretano due ignari italiani che nel Messico di Zapata si trovano coinvolti loro malgrado nelle vicende sanguinose e politiche del paese. Gassman è un attore scespiriano che cerca la fortuna oltreoceano e il suo talento mimetico verrà usato sia per salvarsi la pelle sia per interpretare su commissione personaggi storici come lo stesso Zapata e addirittura un ultracentenario Giuseppe Garibaldi. Villaggio invece è un bigotto prete papista, asservito al vergognoso potere ecclesiastico, che continua a difenere il proprio mandato nonostante l’innocente cialtroneria comunista di Gassman gli metta davanti la realtà triste delle cose. I due inizialmente si odiano e vengono spesso alle mani. Ma sarà la consapevolezza di condividere un martirio a loro estraneo ad unirli in un’amicizia oppositiva che mai tocca le corde del patetismo nemmeno nel saluto tra i due prima che Gassman venga preso, e nemmeno sul finale che tronca corbuccianamente il pathos e lascia la sola veritas.
Pur già essendo abbastanza stanco del genere western, Corbucci non riesce a raccontare una storia rivoluzionaria senza inserirci i suoi must che ne fanno sia un marchio di fabbrica, ma anche un’estetica precisa. L’ennesima mitragliatrice, un nuovo sadico e animalesco generale cattivo con il volto di Eduardo Fajardo, ulteriori esasperazioni violente per narrare la criminosità dei borghesi e dei regulares, tutto porta nella direzione del western corbucciano nonostante la presenza eroicomica di Gassman e Villaggio. Anzi sarà proprio la loro presenza ad essere motivo di estraniamento e a dotare così la pellicola di un certo realismo che qui, come in altri zapata-western, spinge più sull’aspetto storico che metastorico. Così come l’elemento teatrale serve da specchio riflesso per rivedere, rifratta, la coscienza civile che i due personaggi protagonisti non riuscivano a rintracciare nella realtà; e questo oltre che a fare da filtro, adesso sì metastorico, e poter affrontare così la pellicola come un tradizionale Spaghetti-Western dove la “ricreazione” e la “risemantizzazione” sono procedure indispensabili. Infine, Che C’entriamo Noi con la Rivoluzione? è un vero e proprio esperpento. Attraverso la deformazione della realtà operata dal teatro e dai numerosi travestimenti, che qui fungono da specchio deforme, assistiamo ad un imbruttimento generale dei volti e degli ambienti. La scimmiottesca resa di diversi caratteri, usuale nello spagowestern, ricorda il gioco animalizzante tipico dell’esperpento e dell’espressionismo in generale. Ancora una volta quindi, Sergio Corbucci, pur allontanandosi dall’idea originale del film voluto da Gassman – secondo il Giusti -, e senza imboccare la strada della commedia tout-court sulla falsa riga del film ispiratore, cioè La Grande Guerra di Monicelli, riesce a girare un ennessimo atto di sollevazione popolare facendo leva sul mythos per raccontare il percorso di coscienzizzazione civile dell’individuo moderno.
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