Regia di Alessandro Capitani vedi scheda film
L’esordio alla regia di Alessandro Capitani è un film coraggioso. Possiede tutti gli elementi di una pellicola che ha coraggio da vendere. A partire dalla scelta dei protagonisti, passando per l’argomento su cui ruota la trama, per finire dal metodo scelto per mettere in scena la storia.
Partendo dai protagonisti, tutti sappiamo chi è Alessandro Haber. Attore praticante negli anni ’90, spesso rilegato in ruoli secondari in commedie più o meno note che hanno popolato il cinema nostrano negli ultimo due decenni del secolo scorso. Ma a me lui è sempre piaciuto. Lo abbiamo visto talmente spesso che il suo volto ormai ci risulta familiare anche se non riusciamo mai a collegarlo ad una o più pellicole in particolare. Qui è per la prima volta protagonista, ci ha messo anni per arrivarci ma quando lo ha fatto si è rilegato un ruolo che somiglia, almeno un pochino,a tutti i personaggi che ha interpretato nella vita che, non credo sia un caso, somigliano anche a lui. Sara Serraiocco, non me ne voglia, ma io non sapevo nemmeno chi fosse, prima di vederla in questa commedia e in Lo spietato poi. Resta il fatto che è brava, non quanto ci si aspetterebbe da un attrice che deve interpretare il delicato ruolo di Adele, ma ci sa fare.
Detto questo, la storia è quella classica e già risaputa di un uomo egoista che si ritrova ad essere padre. Di una figlia affetta dalla Sindrome di Asperger. Il legame che ne verrà fuori, dopo un viaggio in auto inevitabile, è qualcosa di profondo quanto naturale.
Se vi ricorda un tantino In viaggio con papà di e con Alberto Sordi, non vi sbagliate. Lo stile con cui Capitani, che viene da una lunga trafila di cortometraggi, decide di raccontarci la trama, è proprio quello del film di Sordi, dove a fare il figlio però c’è Carlo Verdone. La pecca di questa pellicola, fresca dalla fotografia coinvolgente, credo sia proprio il non essere riusciti ad affiancare al bravissimo Haber, una co-protagonista degna di cotanta classe.
Oltre questo, il film è piacevole e scorre bene. Non manca una sorta di corale commozione sul finale, smielato ma in linea con la trama che pur soffermandosi su una patologia poco nota ma tanto diffusa, riesce a non sembrare forzato ne perbenista, grazie alla volontà di concentrarsi sui rapporti umani, in parte condizionati da situazioni difficoltose.
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