Regia di Seung-wan Ryoo vedi scheda film
20 FEFF Udine
Agli sgoccioli insanguinati del secondo conflitto mondiale, un musicista coreano abile ad arrangiarsi, astuto e loquace, accompagnato dalla talentuosa figlioletta bambina, si imbarca verso l'isola militare di Hashima, al largo di Nagasaki: un luogo tetro, simile ad una immensa nave saldamente ormeggiata che pare una portaerei da guerra, tutta cementificata, senza un filo d'erba, attorniato da un mare grigio come un destino avverso. Una struttura da avamposto bellico e industriale che nasconde al suo interno una immensa miniera di carbone che i giapponesi sfruttano facendovi lavorare i prigionieri coreani, in condizioni assai critiche e disumane.
Ma quando l'uomo si accorge di essere pure lui a tutti gli effetti un prigioniero, e sconvolto dalla separazione dalla figlia, costretta a frequentare la casa delle donne di piacere per essere preparata ad un imminente futuro da baby prostituta, ecco che da mite signorsì egli diventa uno dei tasselli chiave di una rivolta che verrà portata avanti anche col carisma di un gangster coreano appena deportato, una giovane coraggiosa ed intrepido, ed altri ruoli chiave addentro ad vero e proprio sanguinoso ammutinamento.
Girato con in gran budget (rapportato ai canoni coreani) ed una ricostruzione minuziosa di eventi bellici di cui la storia ci testimonia i sanguinosi dettagli, The battleship Island, presentato al FEFF nella sua versione "uncut" più completa definitiva, è un solido, anche appassionante war movie, che sa incollare allo schermo lo spettatore per tutta la sua lunga durata, catapultandoci nell'inferno di una delle pagine più insanguinate della Seconda guerra mondiale.
Grande carattere registico da parte dell'ottimo cinesta Ryoo Seung-wan, che alterna azione a melodramma senza appesantire o compromettere la tensione quasi perenne che appassiona e incolla alla vicenda.
Si riforma, dopo lo spasso sfrenato di Veteran visto ieri qui al FEFF, il fortunato sodalizio del regista con la star versatile ed affascinante Hwang Jung-min, un vero portento che si dipana egregiamente spaziando dai numeri brillanti, suonati e ballato, fino alle scene più drammatiche e strazianti.
Uno sforzo immane, a sentire il regista, presente in sala assieme al suo attore, ancora provato dalle fatiche concentrate soprattutto nel contesto dello sviluppo della concitata parte conclusiva.
Di grande rilievo pure la parte affidata alla bimba undicenne che interpreta Sohee, figlia del protagonista, e che la giovane ottima Kim Su-an impersona con una partecipazione ed un afflato straordinari.
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