Regia di Matteo Rovere vedi scheda film
Romulus Remusque, fratres, indomiti ac fortissumi viri, sacrum ignem ferunt in corde tenebrae agrestis Latii arcaici; gloriosum sed atrox fatum exspectat eos. Actio truculenta, atmosphaera, sensum tragoediae : pellicula mirabilis est! Valutatio: VII/dimidium praeteritum VII.
Una sequenza di eventi inesorabile e tumultuosa come un fiume in piena trascina i protagonisti della vicenda, e gli spettatori con essi, nel cuore del mito della fondazione per eccellenza. Immersi nella musicalità arcana del linguaggio protolatino reinventato per il film, ci ritroviamo in un Lazio primordiale e barbarico, una landa selvaggia d'incontaminata bellezza, ricoperta da boschi che incutono un sacro terrore, attraversata dagli snodi serpeggianti di un Tevere insidioso, non dissimile dal fiume Congo di "Cuore di tenebra". Assistiamo alla cruenta ascesa di due fratelli che scoprono, superando il confronto con molteplici avversità, di avere entrambi la forza, il carisma e la determinazione che fanno di un individuo un capo in grado di ispirare una comunità; mentre Remo è un prode guerriero, un istintivo e un temerario, Romolo alle virtù guerresche, che pur possiede, antepone senso religioso e morale; attorno a questa diade (che verrà poi replicata nell'istituzione del consolato nella Roma repubblicana : un capo per la guerra e un capo per la pace) e alla sua drammatica evoluzione si formerà il nucleo della più grande civiltà antica. Alessandro Borghi dà vita a un Remo che, giunto alla gloria, viene preso dall'hybris come gli eroi della tragedia antica, ma i riferimenti di questa rivisitazione della figura leggendaria paiono piuttosto quelli nordici, corrotti dal potere dopo una grande impresa, come Sigfrido o Beowulf; da un punto di vista recitativo richiama il Travis Fimmel/Ragnar Lothbrok della bellissima serie tv "Vikings" e, a tratti, persino l'inarrivabile "Aguirre" di Kinski. Alessio Lapice impersona un Romolo che rimanda all'iconografia di Cristo ma nel discorso finale ricorda la minacciosa determinazione del monito che conclude l'"Alexander Nevskij" di Ejzenstejn. Il brillantissimo script nobilita la nascita della nostra civiltà identificandone l'origine non in un assassinio ma nell'amore, un amore fraterno tragico e destinato a durare più del tempo. L'ambizioso e talentuoso regista Matteo Rovere procede nella sua carriera veloce come il vento, cita in maniera appropriata il crudo "Apocalypto", le ottime scene d'azione e le visioni panoramiche col drone de "Il Signore degli anelli" e l'epopea italica de "I cavalieri che fecero l'impresa", creando un gioiello che supera una parte centrale un po' faticosa e alcune imperfezioni per proporsi come nuovo classico del nostro cinema.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta