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Il primo Re

Regia di Matteo Rovere vedi scheda film

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La recensione su Il primo Re

di mck
7 stelle

"Lasciate che tutti i burini vengano a me!"

 

Dice l'aruspice che sarà 'n bagno de sangue (viva l'Aniene e abbasso 'a Lazio).

Italia etrusca, Tuscia romana, ovvero: tutte le strade portano a Viterbo.
1. Troppa Grazia di Gianni Zanasi (Est. '17 → Prim. '18) - Qualcosa che non c'è.
2. Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher (Est. '17 → Prim. '18) - La leggenda del santo lavoratore.
3. Il Primo Re di Matteo Rovere (Aut. '17 → Inv. '19) - Pugna, frate meo!    

 


Alla sua opera quarta come co-sceneggiatore (con la stessa squadra di “Veloce Come il Vento”, composta da Filippo Gravino e Francesca Manieri), regista e produttore [ruolo questo che ricopre anche fuori dal novero di film da lui scritti e diretti: per il web, coi the Pills, per la TV (R.A.I.), con Paolo Calabresi, e per il cinema, con la Groenlandia nata dal sodalizio con Sidney Sibilia di “Smetto Quando Voglio” e il prossimo “l'Isola delle Rose”] dopo “un Gioco da Ragazze” (da Andrea Cotti, con Sandrone Dazieri e Teresa Ciabatti), “gli Sfiorati” (da Sandro Veronesi, con Francesco Piccolo) e il già menzionato “Veloce Come il Vento” (soggetto originale da “una storia vera”), Matteo Rovere, con “il Primo Re”, finalmente diventa Nando Meliconi aka Santi Bailor shakerando (lasciando in pace "Monte" di Amir Naderi), con le dovute contestualizzazioni e gl'imprescindibli distinguo, “la Guerre du Feu” e “10.000 a.C.”, “l'Armata Brancaleone”, "Spartacus" ed “Excalibur”, “Centurion” e “the Eagle”, “Kingdom of Heaven” e “Alexander”, “Valhalla Rising” e “the Revenant”, “the Passion of the Christ” (in attesa di “Resurrection”!) e “Apocalypto” [ma non, -_non_-, Zack Snyder ("300") e Renzo Martinelli ("Barbarossa" e "11 settembre 1683"), se non, e -_non_- sarebbe poco, lacerti, accenni, rigaglie, ammiccamenti e cascami di sostanza e contenuto “fascistoide” (Dio, Patria, Famiglia), che non considero né preponderanti né, nemmeno e nemmanco, presenti; per contro, s'intravede un'ombra malickiana, ma la sua "presenza" latita...], su su, fino al Sergio Corbucci di quasi 60 anni prima, e su questi “format” (esclusi per diverse ragioni Monicelli, che ho messo in mezzo per via della caratterizzazione lombrosiana, ma pertinente, dei personaggi secondari e compagni d’avventura, e Boorman, ch’è un sui generis) rimane appiattito e ne resta volenteroso servo fedele e felice schiavo trascrivente/imitante (non è un male, di per sé), riuscendo comunque a licenziare un prodotto formalmente e stilisticamente più che dignitoso.  

 


A dirla tutta, la “verità”, poi, in “realtà”, ecco che “il Primo Re” - inserito nel percorso storico che si delinea nitido dall'età dell'Osso a quella del Fuoco, dall'età del Rame a quella del Bronzo, dall'Età del Ferro a quella della Fanga, sino ad oggi, con l'Età del Pongo - si disvela come il diretto discendente - in veste di prologo ancestrale, arcaico e mitopoietico [da una parte, il Fuoco Eterno - parente stretto e lontano per discendenza in linea diretta del Suco Perpetuo de Nonna Mmerda - non è l'Arte del Fuoco, ma un surrogato deistico della Forza Naturale e un succubo per interposta persona del dio di turno che si scarrozza in giro, dall'altra, è la messa in scena della Leggenda (fondativa, accomodabile) che si mangia la Storia (rullo-compressoria), o, meglio, che subentra ad essa quando questa per forza di cose è slabbrata da falle ed ammanchi: e qui, viceversa, vi è un tentativo di ripristino "storiografico", che accantona e trascura la belluria leggendaria] - ed epigono ammeregano di “Romanzo Criminale” e “Suburra”/“Gomorra”: la macchia d'olio, vino e sangue in espansione sui titoli di coda (anche questo un espediente, un topos, un dispositivo collaudato, ma restituito qui funzionale e giustificato, e ben utilizzato e reso), che raggiunge l'oggi: "Pijamose Roma!", "Sto posto non cambia da duemila anni: patrizi e plebei, politici e criminali, mignotte e preti...", "Ce ripigliammo tutto chillo ch'era 'o nuostro!", e via discorrendo...

 


Alessandro Borghi, reduce dal triennio d’oro di “Non Essere Cattivo”, “Suburra” (film + serie), “Fortunata”, “the Place” e “Napoli Velata”, spacca. Gli tiene testa (con un climax pre-finale da brividi) Alessio Lapice [“il Padre d’Italia”, "Tafanos" (praticamente il remake tuscio-burino dell’originale mangia-patate “Grabbers”, col THC al posto dell’alcool) e “Nato a Casal di Principe”]. 

 


L’esordiente Tania Garribba è la vestale, la vergine custode del Sacro Fuoco: e giustamente e correttamente è resa come uno strumento (vedi Melisandre), utilizzato tanto dai credenti (Romolo), che ne assorbono e rilanciano sinceramente (?) il muliebre e all'occasione malleabile portato manicheo di segni e simboli pre-costituiti, immediatamente ricevibili, sfruttandone il potere e la forza del loro significante (quel che poi farà sempre, più o meno, il Sacro Romano Impero), non importa se privo di significati, quanto dagli atei (Remo), demolendoli. A capo dell’ottimo cast di personaggi secondari, il dardennesco (F.Comencini, D.Vicari, E.Green) Fabrizio Rongione

 


Fotografia di Daniele Ciprì (in zona “Vincere!” e “Sangue del Mio Sangue” e all'opposto di Zio/Totò/Cagliostro). Montaggio di Gianni Vezzosi. Musiche di Andrea Farri.  

 


Scenografie di Tonino Zera e costumi di Valentina Taviani (realismo filologico, ma soprattutto funzionale: si pensi al villaggio, per girovagare sempre in zone paludose, di “Sauna”).  

 


Co-produce Rai Cinema e di conseguenza distribuisce 01.
Il Bosco del Foglino ci mette gli alberi e il Lago di Alviano l’acqua.   

 


Ottimi azione, scontri, battaglie e duelli (coreografie e coordinazione della famiglia Novelli).
Le università romane Guglielmo Marconi, Tor Vergata e La Sapienza (e ritorna E.Green…) ci mettono il proto-latino vernacolare innestato con una spruzzata di cadenze terminologiche indo-europee (praticamente il romagnolo stretto di “Veloce Come il Vento”), in attesa di conquistare il mondo e divenir romanza.   

 


Servi, ribelli, schiavi, plebaglia, insomma: lasciate che tutti i burini (*) vengano a me!

(*) Problema filosofico: esistevano già i burini prima della fondazione di Roma? Cioè, idealmente, possono esistere i burini senza la controparte Roma? Erano burini rispetto ad Alba Longa? L'essenza della “questione” non consiste nel fatto che una parte vicendevolmente crea, certifica, convalida l'altra? Certo che esistevano: burina è la razza umana, Roma indossa semplicemente tuniche laticlavi firmate Armanis, Valentinum e Versacem (ché per latinizzare qualcosa sufficie aggiungere a muzzo qualche esse ed emme alla fine, no?). Non è una vicendevole validazione.   

 


Fratricidio, possesso del territorio, ideali traditi, conforto [dell'inganno (in)consapevole] religioso, cambio/passaggio di scettro…
Poi Remo scavalca il pomerio (“Nun t'azzardà!”) e so' cazzi amari.
Ed ecco il lupercale infecondo e spaurito ch'è l'Italia d'oggi, in cui s'invoca la Madonna in sostituzione del dio Po: dall’Arco di Traiano alla obliante nemesi storica dell’ignoranza e dell’immemoria.

* * * ¼ - 6½   

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