Regia di Matteo Rovere vedi scheda film
Film che ha una caratura di livello internazionale, che non dovrebbe sfigurare in un confronto con opere ben più famose in questi giorni.
Ciò che viene subito in mente dopo la visione è che il film ha una caratura di livello internazionale, che non dovrebbe sfigurare in un confronto con opere ben più famose in questi giorni. Il motivo di questa affermazione è dovuto al fatto che mi ha sorpreso enormemente in senso positivo: è un film non solo girato benissimo ma è tutta la produzione che impressiona per il coraggio e le notevoli novità che il film porta con sé. Ma prima di elencare i pregi dell’opera, a priori penso che la prima dote è stata il coraggio del regista e dei produttori che hanno ci creduto: hanno creduto in un film diverso assolutamente dal resto del panorama italiano e di realizzarlo nella maniera che abbiamo visto, tra difficoltà sceniche e di preparazione.
Prima di tutto, quindi, è clamorosa la scelta di farlo recitare (ormai lo sanno tutti) in una difficoltosa lingua, un latino antico che possiamo definire preistorico, un proto-latino che dà maggiore efficacia a tutta l’ambientazione, secondo motivo di orgoglio dell’eccellente regista Matteo Rovere. Infatti, la marcata scenografia fatta di rude natura, tra boscaglia, fiumi, torrenti, difficoltà logistiche di ogni tipo segna un altro punto a favore del film. E poi il coraggio – di cui nell’incipit - di presentare un film appunto in quella lingua con i sottotitoli a cui il pubblico italiano non è certo abituato. Indubbiamente ci si accorge della difficoltà da parte degli attori a procedere speditamente nella dizione tanto che a volte mi ha dato l’idea di essere un po’ sforzata data la oggettiva difficoltà e in secondo luogo immagino (ma io sono ignorante) che a quei tempi i suoni vocali erano ancor più rudimentali data la minima cultura di quelle persone, specialmente se si pensa che qui parliamo di uomini e donne che vivevano in villaggi primordiali, in località impervie e senza molti collegamenti percorribili per spostarsi, se non per effettuare raid contro i nemici. Come si può immaginare era un luogo/non-luogo dove vigeva un “tutti contro tutti”.
L’impegno fisico da parte degli attori è ammirevole, ma l’aspetto che più mi ha colpito è la Storia che si allontana da quella favola raccontata e studiata nelle scuole ordinarie. E tralasciando appunto la vera Storia, materia che non mi compete, ho apprezzato molto per come il regista ha puntato tanto sull’aspetto psicologico e sulla vicenda umana tra i due mitici fratelli: il loro estremo affetto, la loro rudezza, il loro coraggio indomito, specialmente quello del vero protagonista del film che è Remo. Personaggio, al di là del mito, che un impressionante Alessandro Borghi rende epico, il quale ancora una volta, dopo Stefano Cucchi, si impadronisce del personaggio fino a trasfigurarsi di nuovo: una prova che spaventa per impegno e dedizione, fisica e mentale. Remo è davvero il protagonista, un cuor di leone, un predestinato coraggioso che cresce di giorno in giorno, man mano che si accorge di essere seguito e obbedito dagli uomini del suo villaggio, che però commette un gravissimo peccato: quello di una eccessiva vanagloria che lo porterà lontano dallo scopo iniziale della sua avventura, ma anche da suo fratello e dai suoi seguaci che osservano sbigottiti il suo cambiamento. L’urlo che caccia Remo-Borghi alla fine delle battaglie ricorda quello dell’orso indimenticabile di Jean-Jacques Annaud: sono io il più forte!
La fotografia è fenomenale e se qualche illustre critico paragona questo film al Revenant di Iñárritu e DiCaprio (le inquadrature verso l’alto tra gli altissimi alberi sono una citazione?), mentre a me ha fatto venire in mente l’atmosfera rarefatta e selvaggia di Valhalla Rising - Regno di sangue di Refn – con gli opportuni distinguo (qui molto parlato e tanta azione, lì tanto silenzioso e molto basato sui truci sguardi dei guerrieri) - fa solo giustizia di un film veramente bello e girato ad altissimo livello. La fotografia, ribadisco è forte e incisiva come la storia e il film, con la macchina di Daniele Ciprì che fa miracoli, tra gli arbusti e i guerrieri, mostrandoci tutto ciò che avviene come fosse un esperto dei film di guerra, come e meglio di un peplum. Ed infatti qui siamo oltre il peplum con cui siamo cresciuti da bambini, siamo oltre: quelli erano quasi fantasy, con donne bellissime (le grandi dive del passato) e uomini puliti e prestanti; questi invece sempre rudi, sporchi e affamati. Bravissimo Ciprì!
Infine due rilievi da parte mia, se mi posso permettere da modesto appassionato: la musica di Andrea Farri è bellissima, e pur se bellissima forse non è del tutto appropriata ma soprattutto (ahimè) sovrasta fin troppo la visione. Il volume più basso lo avrei preferito. Ed infine un appunto: ok i sottotitoli ma… un pochino più grandi non sarebbe stato meglio? Qualcuno avrà difficoltà a leggere tutto.
Bravo Matteo Rovere, bravo Alessandro Borghi! Applausi!
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