Regia di Karl Hartl vedi scheda film
Due simpatici manigoldi riescono a farsi passare per Sherlock Holmes e il dottor Watson. Una commedia brillante e sapientemente orchestrata nel periodo più tetro della Storia tedesca.
Due scanzonati scrocconi intenti a mettere a segno un imprecisato colpo a bordo di un treno, riescono a far fermare il convoglio in piena notte, mettendo inconsapevolmente in fuga due malviventi. Nell’agitazione che ne consegue, si fanno passare per Sherlock Holmes e il dottor Watson in trasferta dalla Gran Bretagna. Si fanno carico dell’indagine sulla fuga dei due delinquenti e le autorità locali si mettono al loro servizio, onorate di poter collaborare con il leggendario detective. Sfruttando la situazione, i due marpioni si spingono oltre, consentendo alla polizia di smantellare una gang che aveva trafugato francobolli di inestimabile valore e di scoprire un laboratorio di falsari nascosto in un castello. Anche una volta smascherati, i due falsi Holmes e Watson vengono acclamati e possono finalmente brillare di luce propria.
Popolare regista e sceneggiatore austriaco attivo dagli anni ’30 agli anni ’50, Karl Hartl realizza questa brillante e originale commedia avventurosa per l’UFA (Universum Film AG), società di produzione e distribuzione tedesca fondata nel 1917, quindi in piena Prima Guerra Mondiale, con scopi di propaganda politica e militare. Molto attiva nel periodo della Repubblica di Weimar, durante il quale produsse alcune pregevoli pellicole di Carl Theodor Dreyer, di Fritz Lang, tra cui “Metropolis” e “Una donna sulla luna”, nonché “L’angelo azzurro” di Josef von Sternberg, con l’avvento del nazismo l’UFA venne nazionalizzata, passando ovviamente alle dirette dipendenze del famigerato Joseph Goebbels. Quest’ultimo, tuttavia, considerando la commedia come un genere scarsamente pericoloso per il regime, non esercitò il ferreo controllo censorio cui sottopose la cinematografia tedesca di quegli anni. Ci restano così alcuni film tedeschi degli anni ’30 di pregevole fattura, tra i quali questo “Sherlock Holmes” interpretato dalla coppia Hans Albers e Heinz Rühmann, due tra i più popolari attori del cinema tedesco del secolo scorso.
Il film scorre veloce, si avvale di una sceneggiatura e di una scenografia molto accurate, i colpi di scena e le sorprese si susseguono a ritmo elevato, grazie anche alla perfetta armonia con cui recitano i due protagonisti. Il finto Sherlock Holmes impersonato da Hans Albers (attore di grande prestanza fisica, una via di mezzo tra Bruno Cremer e Adolfo Celi), con il tipico cappello, la leggendaria pipa e il mantello a scacchi, è certamente più corpulento e sfrontato del personaggio originale e, soprattutto, si rivela persino più scaltro e abile nello scovare indizi e smascherare i colpevoli. Per il Terzo Reich l’investigatore tedesco deve necessariamente essere superiore al suo omologo britannico, ma posso dire che la cosa non nuoce in alcun modo all’economia né alla qualità del film. Altrettanto degna di nota e divertente è l’interpretazione del finto dottor Watson da parte di Heinz Rühmann, attore comico popolarissimo e attivo fino alla fine degli anni ’70. Perennemente intento a prendere appunti su ogni osservazione dell’infallibile Sherlock Holmes, è il classico finto tonto, quello che non capisce al volo le intuizioni del maestro, ma puntualissimo nel tirargli la volata quando le faccende si complicano. L’intesa tra i due è un meccanismo ad orologeria, impreziosito da dialoghi sagaci e spiritosi anche nei momenti di massima tensione.
Trattandosi di un film praticamente introvabile, mi permetto di terminare raccontandone la scena finale, che ho trovato altamente umoristica. Lungo il succedersi degli eventi, molte sorprese e colpi di scena sono ambientati nell’ampio ingresso di un albergo di lusso. Tra le persone che vi si aggirano spicca una misteriosa figura, un uomo solitario che, ad ogni risvolto della vicenda, scoppia in una podesrosa e squillante risata. Giunti all’epilogo, si manifesta: “Signori, il mio nome è Conan Doyle e sono il creatore di Sherlock Holmes, un personaggio immaginario al quale hanno finalmente dato vita reale i nostri due eroi. Chiedo loro di poter raccontare questa storia nel mio prossimo romanzo”. Non male!
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