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Il gioco di Gerald

Regia di Mike Flanagan vedi scheda film

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La recensione su Il gioco di Gerald

di supadany
4 stelle

Si scrive Netflix ma si legge televisione (e neppure di buona qualità).

Di recente, sta passando un concetto secondo il quale la rete è quello spazio produttivo che consente di osare, al contrario di quanto accade per il Grande schermo, forzatamente obbligato a generare grossi numeri, e sui canali televisivi, che prevedono per lo più codici uniformati.

In quest’affermazione c’è sicuramente del vero, purtroppo Il gioco di Gerald ne rimane completamente estraneo, con un potenziale captabile da più fronti, che però non è quasi mai associato a uno sfogo abissale.

Per ravvivare la passione, Gerald Burlingame (Bruce Greenwood) e la sua consorte Jessie (Carla Gugino) hanno deciso di trascorrere qualche giorno nella loro dimora sul lago, isolata dalla confusione di ogni giorno.

Proprio durante un atto sessuale, Gerald è colpito da un infarto che lo uccide, mentre Jessie si ritrova ammanettata al letto.

Fin da subito pensa a ogni possibile soluzione, mentre un cane randagio aspetta solo il momento giusto per azzannarla e strane visioni le fanno compagnia, spingendola anche a rimembrare un passato rimosso.

 

Carla Gugino

Il gioco di Gerald (2017): Carla Gugino

 

Tratto dall’omonimo romanzo pubblicato da Stephen King nel 1992, Il gioco di Gerald è un thriller con connotazioni horror che lascia una sensazione di amaro in bocca.

Infatti, non c’è niente di peggio che far trapelare dei fattori stuzzicanti senza riuscire a concretizzarli. Se l’apertura, tra disfunzioni sessuali e deviazioni, sembra una pietra tombale, il primo, e tutt’altro che misterioso, colpo di scena apre le danze di un balletto tra realtà e allucinazioni, irrompendo negli interstizi psicologici, tra doppelganger, ricordi fuoriusciti da una coltre spessa, un cane rabbioso (di ritorno da Cujo) e pure una creatura mostruosa con intenti seviziatori.   

Queste caratteristiche annoverano solleticanti opportunità ma costituiscono anche un campo minato, un azzardo che se non altro smuove acque altrimenti rafferme, per quanto Mike Flanagan – per chi scrive, alla sua prova peggiore – raramente faccia il passo più lungo della gamba, con il risultato di limitarsi ai suggerimenti invece di affondare il coltello nella carne viva.

Indipendentemente da ciò, una situazione al limite, tale da mettere in discussione la sopravvivenza stessa, porta alla perdita di ogni forma di controllo, comporta una conseguente produzione di ansia, con la frazione più efficace provenire dai ricordi d’infanzia, con tanto di eclissi e cromatismi da pianeta rosso. Proprio nel rimosso dei ricordi – sia prima, sia dopo – sono annidate le soluzioni ai problemi, ma se l’impalcatura presenta crepe e una strutturazione morigerata, i continui rilanci sul finale lavorano su un terreno troppo arido perché possa avere luogo un attecchimento produttivo.

In un’esposizione che regala poche gioie, e ancora meno sorprese, urge comunque premiare Carla Gugino, impegnata con devozione in uno stress test (anche crash), facendo buon viso a cattivo gioco, mentre per Mike Flanagan rimane un passo falso, all’interno di un’attività produttiva che, dopo l’exploit di Oculus, l’ha visto costantemente impegnato tra il 2016 e il 2017 (Il terrore del silenzio, Somnia, Ouija: L'origine del male).        

Affannoso nella progressione e superfluo nelle risultanti, intorpidito come se Jessie non fosse l’unica limitata nei movimenti.

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