Regia di Bryan Singer vedi scheda film
La trascinante musica dei Queen e la tormentata vita del loro frontman Freddie Mercury sono ripercorse e omaggiate da uno spettacolare biopic che, pur prendendosi diverse licenze, riesce a raggiungere il suo obiettivo fondamentale: coinvolgere ed emozionare.
La scelta di intitolare un’opera cinematografica ispirata alla sfavillante carriera dei Queen proprio Bohemian rhapsody, come quella che può essere considerata a tutti gli effetti la loro canzone manifesto, risponde ad un preciso intento portato avanti da questo film, che, durante la sua lunga e travagliata realizzazione ha visto partecipare in veste di consulenti anche due dei superstiti del gruppo, Brian May e Roger Taylor: quello di celebrare, senza troppo indugiare nella rispondenza al vero, la musica e le atmosfere di quegli scintillanti anni che hanno segnato la loro ascesa nell’olimpo della musica rock.
A visione conclusa, infatti, si ha l’impressione che la pellicola sia quasi una rutilante rapsodia di immagini in movimento su un sottofondo musicale per presentare una parte della storia del mitico gruppo capeggiato dall’indimenticato performer (come lui stesso amava definirsi) Freddie Mercury, sulla cui carismatica figura inevitabilmente la trama finisce per concentrarsi e ruotare, oscurando il resto che funge a tratti da mero contorno.
Sebbene la sua vicenda umana, artistica e sentimentale sia il fulcro essenziale del film, la sceneggiatura si mostra comunque abbastanza pudica e indulgente nel presentare gli eccessi e i lati più controversi del frontman ancora oggi idolatrato da schiere di fans di tutto il mondo, facendoli appena intuire attraverso un gioco di suggestioni visive e sonore che lasciano allo spettatore la libertà di giudicare la sua persona, anche in rapporto alla conoscenza che ciascuno può avere sui fatti privati che lo riguardano e che ne hanno comunque condizionato l'estro artistico. Non che questo sia un male: per chi avesse voglia di approfondire ulteriormente esistono decine di libri e documentari facilmente reperibili in rete.
Ciò che però ha fatto storcere il naso ai puristi che oltre alle canzoni conoscono a menadito anche la vera storia e i suoi protagonisti, sono state alcune incongruenze narrative che personalmente ho trovato comunque perdonabili alla luce di quanto il film riesce qualitativamente a trasmettere in termini emozionali.
È vero, la narrazione è abbastanza lineare e un po’ stereotipata, con brusche accelerazioni e svariate licenze, arrivando a forzare, mescolare, omettere, posticipare o anticipare i tempi di alcuni episodi ed esibizioni, con uno stile talvolta vicino a quello di un videoclip promozionale (ma anche in questo caso c’è da dire che i Queen furono tra i primi musicisti a comprendere l’importanza del videoclip e questa impronta registica dunque non stona) che condensa ed esalta i momenti topici della band, quelli insomma rimasti nell'immaginario collettivo.
In verità le sequenze musicali in cui si può apprezzare appieno la formidabile carica live dei Queen sono piuttosto brevi, ma ciò contribuisce ad accrescere l’hype per il gran finale – abilmente anticipato da alcuni flash nella splendida sequenza d’apertura – che ricostruisce ad arte quella che è senza dubbio la performance più famosa e travolgente della band, quegli strepitosi venti minuti di medley eseguiti durante il Live Aid nel 1985, evento benefico voluto da Bob Geldof cui presero parte tutti i più importanti artisti della scena musicale dell’epoca.
E lì c’è poco da fare: la strepitosa voce originale del grande Freddie Mercury, esaltata da un audio rimasterizzato e ripulito per l’occasione che rende quasi tangibile l’emozione sua e del pubblico, ha un impatto emotivo fortissimo ed è davvero difficile trattenere qualche lacrima di gioia e commozione quando si viene investiti da quell’esplosione di energia, dramma, potenza e sensualità.
Rami Malek, che ha l’arduo ruolo di prestare corpo e volto a cotale magica voce, soprattutto in questa sequenza riesce ad ingannare l’occhio in più di un frame, grazie ad una sapiente combinazione di inquadrature, luci, trucco che ne esaltano i tratti esotici e irregolari e la notevole espressività fisica e facciale, rendendolo così vicino all’originale che perfino il mancato uso di lenti a contatto scure per coprire le sue iridi verdi (particolare inizialmente un po’ spiazzante) alla fine non disturba più di tanto.
Malek, la cui carriera finora si è quasi equamente divisa tra cinema e tv, oltre alla minuziosa riproduzione delle accattivanti movenze di Mercury sul palco, con la sua calibrata mimica riesce anche a trasmettere le contraddizioni della sua sfaccettata personalità: eclettico e provocatorio, sensibile e sfrontato, determinato e ambizioso, passionale e frivolo, un emarginato in cerca di affermazione e affetto, ma anche un uomo così vanesio e suscettibile da lasciarsi trascinare da cattive compagnie che lo allontanano dagli amici veri.
E sebbene, come già detto, per questione di tempi filmici, il suo percorso di ascesa e crisi venga presentato in maniera un po’ scontata e a volte superficiale, l’interpretazione del talentuoso attore statunitense è talmente viscerale e sentita da non lasciare indifferenti, riuscendo a far percepire le fragilità d’animo dell’uomo Farrokh Bulsara al di là dell’icona rock Freddie Mercury che tutti conosciamo.
Non è possibile giudicare con altrettanta attenzione il pur buon cast di attori che rivestono i panni degli altri tre membri della band, incredibilmente somiglianti a livello estetico, ma le cui personalità sono caratterizzate in maniera meno complessa: Brian May saggio e pragmatico, Roger Taylor impulsivo e permaloso, John Deacon pacato e conciliante. Grande risalto è dato alla figura di Mary Austin, prima storica fidanzata di Mercury e poi sua intima amica di tutta la vita, impersonata dalla leggiadra Lucy Boynton, presenza femminile dolce e risolutiva. Limitato anche lo spazio concesso a Jim Hutton, uomo umile e schietto che fu compagno di Mercury fino all'ultimo.
Degni di nota tutti i costumi, spesso fedeli riproduzioni degli originali, ma anche il reparto tecnico e specialmente il lavoro eseguito dal reparto fonico e sonoro, con una resa davvero impressionante e vivida delle voci e dei suoni live.
L’altra grande protagonista è dunque la Musica e non poteva essere altrimenti: incisivi e divertenti i siparietti in cui viene ripercorsa l’origine di alcuni dei brani più famosi (la stessa Bohemian rhapsody, We will rock you e Another one bites the dust), così come i momenti in cui si evince come questi quattro ragazzi, di differente estrazione e cultura, fossero accomunati da un’idea di musica che pare quasi del tutto estinta: libera da condizionamenti di sorta, in grado di stupire, intrattenere, coinvolgere, e soprattutto rimanere nel tempo.
E visto che le loro canzoni le ricordiamo e cantiamo ancora, e ancora oggi continuano ad emozionare come al primo ascolto, appassionando anche le nuove generazioni, non è esagerato pensare che in fondo avevano davvero qualcosa di eterno.
Who wants to live forever?
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