Regia di Bryan Singer vedi scheda film
CINEMA OLTRECONFINE
Sarebbe stato bello, raccontarci la vita e le dinamiche del successo di una band come i Queen, forti di un leader carismatico, bello ed amato come Freddy Mercury.
Sarebbe stato anche bello essersi sbrigati nell'organizzare lo script, ed aver ingaggiato in tempo utile il suo alter ego per eccellenza, ovvero Sasha Baron Cohen, il cui coinvolgimento è stato in predicato per decenni, salvo non riuscir mai a partire col progetto definitivo che lo prendesse in considerazione.
Nelle mani del talvolta bravo, certamente professionale Bryan Singer, il biopic sui Queen si dimostra alla resa dei conti niente di meno che una chiavica totale, senza nessun spessore narrativo, scontato e patetico in ogni scelta ultraconvenzionale intrapresa in sede di scrittura.
Ma Bohemian Rhapsody è soprattutto un film posticcio, che rimane in superficie, e non ci riesce a raccontare nulla: nulla di veramente interessante di un gruppo storico, di un leader dalla vita frenetica e piena di opportunità, di scelte giuste e sbagliate, di chiaro scuri che spesso tratteggiano i lineamenti di una figura artisticamente geniale.
Qui si cerca di accontentare tutti, quindi nessuno, dicendo le solite cose che andrebbero bene per altri 10 cantanti altrettanto noti e dalla vita sregolata, puntando sul cliché melodrammatico, sul valore dell'amicizia come un quasi amore, sulle timide incertezze sessuali, rendendo l'indeciso Mercury al rango di una suorina quasi frigida che dice sempre no.
No, Freddy Mercury non si meritava questo trattamento superficiale, che mortifica le sfaccettature di una personalità brillante, fantasmagorica, irruenta nel presentarsi sul palco, coinvolgente, anzi trascinante nel suo esporti molto fisico, molto sessuale.
Qui invece ne scaturisce un risibilevritratto convenzionale di una suora illibata resa ridicola da una maschera facciale (che la rende piu' che altro un clone a scelta tra Mick Jagger o Michael Jackson...ma proprio per nulla simile al Freddy-young originale) che la deforma in modo beffardo, senza vergogna, opera da denuncia truccatori incauti.
Colpa non tanto di Rami Malek, poverino: il ragazzetto ce la mette tutta, e sul palco è pure bravino a sfoderare i tic e le mosse della grande rockstar.
Manca tuttavia al Malek, ahimè, inesorabilmente e senza alternativa suzione di ripiego, il physique du role dell'inimitabile carismatico originale - un miscuglio di testosterone, sex appeal e di erotismo esibito e compiaciuto qui impercettibili: lui, ovvero la copia, piccolino e magro come una scopa, con quei denti da Fratel Coniglietto imbarazzanti. Una somiglianza anche ricercata nei particolari, valuda e notevole soli laddove ci trovassimo sopra un carro mascherato durante la parata di Carnevale.
Impossibile pertanto, per il giovane pur volenteroso interprete, trasformarsi in Freddy Mercury, salvo divenirne al massimo un clone in miniatura (anche forse, apparentemente, a livello di proporzioni); una copia a rischio caricatura, degna di una festa in maschera sapientemente organizzata, o di un triviale spettacolo televisivo della serie "Tale-quale show".
Da Hollywood si può, anzi si deve, poter pretendere di più; anche per dare credito ed onore ad una band che meritava una più accorta trasposizione, corretta qui solo tecnicamente dall'esperienza sul campo ormai piu' che collaudata di un regista che è stato, tempo addietro, assai bravo.
Poi Singer, travolto anche, durante la lavorazione del film, da vicissitudini personali legate allo scandalo "Me too", cerca di stupirci con una regia incalzante che trova il modo di celebrarsi nel concerto Live-Aid, con carrelli e utilizzo di droni, ormai invero a disposizione anche del cinema casalingo, e grafica computerizzata per simulare la sterminata folla in delirio per la celebre band.
Si esce insoddisfatti, senza essere riusciti a catturare nulla di inedito od originale o autentico di quel personaggio di animale da palcoscenico, artisticamente straordinario e talentuoso, che è stato Freddy Mercury.
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