Regia di Bryan Singer vedi scheda film
Mettiamo subito le cose in chiaro. Il film di Bryan Singer (al di là di quanto si possa dire sui problemi produttivi si può comunque affermare che sia comunque in tutto e per tutto un “suo” film) non ha assolutamente intenzioni storiografiche o documentaristiche ma esclusivamente celebrative, un'agiografia volutamente esclusiva ed emotivamente sentita che nel tentavo di ricostruire la scalata al successo di Freddy Mercury, prima ancora che dei Queen, si prende tutte le licenze artistiche possibili per rendere maggiormente drammatica la storia del gruppo inglese, seppur nei limiti di un prodotto costruito per essere comunque accessibile al maggior numero di pubblico possibile.
Questo è il maggior limite del film, oltre a essere un biopic estremamente classico e lineare, sia come struttura che come metodo, e a un eccesso di didascalismo in una pellicola, a suo modo, forse persino irrisolta.
O forse già si è pensato a un probabile seguito sugli ultimi anni di carriera di Freddy e del gruppo dal titolo "Show must go one"?
Quindi il film non funziona per niente? Ma niente affatto.
Perché quello che è il suo limite in realtà è anche il suo maggiore punto di forza, e la mancanza di una certa verosimiglianza con la realtà dei fatti in favore di una maggiore libertà "motivazionale" permette al pubblico una maggiore adesione, emotiva e sentimentale, con il protagonista e la sua storia e che, a discapito dei difetti e di certe semplificazioni, funziona e, decisamente, affascina.
Certo rimane comunque il dilemma di quanto questo sia davvero merito del film e quanto invece è in funzione dei Queen e della loro musica, ma trattandosi principalmente di una pellicola celebrativa proprio del gruppo e di cosa hanno rappresentato (o di cosa ancora rappresentino) per la musica, un'eventuale risposta ha davvero poi tutta questa fondamentale importanza?
Un'ultima menzione speciale a Rami Malek, impressionante nel rappresentare non solo il look (eccezion fatta per i "dentoni", davvero troppo caricaturali ed esagerati) ma anche/soprattutto l'anima e le movenze del frontman dei Queen ma anche per tutti gli altri, in primis Gwilyn Lee interprete di Brian May, in una rappresentazione praticamente perfetta per aspetto e gestualità e che culmina nei 20 minuti finali e nella rappresentazione fedelissima in ogni particolare della partecipazione dei Queen al concerto del Live Aid del 1985 in un finale decisamente emozionante quanto, per tutta una serie di ragioni, catartico.
VOTO: 7
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta