Regia di Boris Barnet vedi scheda film
Il cinema sovietico non si riduce solo ad Eisenstein e Tarkovsky. Un regista ancora poco noto, di cui in Italia abbiamo potuto vedere qualcosa grazie al solito Ghezzi di Fuori orario, è Boris Barnet, di cui "Vicino al mare più azzurro" resta uno dei film più liberi, poetici e ben poco ideologici, molto lontano dai canoni del realismo socialista che si sarebbe affermato qualche anno dopo. È la storia di due naufraghi in un'isola del mar Caspio, mandati a lavorare come meccanici in un kolkoz, che si innamorano entrambi di una bella bionda di nome Mashenka, che sembra accettare il corteggiamento ma alla fine rivela di essere già fidanzata. Ma la trama alla fine conta poco, è più un film di sensazioni, di atmosfera e di stati d'animo, un cinema lirico che si distanzia dalla produzione degli anni Trenta per cercare una cifra stilistica personale, dove le immagini del mare hanno un effetto poetico che ricorda parzialmente quello de "L'Atalante" di Jean Vigo, girato negli stessi anni. I personaggi sono esili, non c'è una caratterizzazione curata delle psicologie, ma proprio perché è un'opera che sceglie un approccio emotivo alla materia narrativa, un cinema che in qualche modo anticipa le Nouvelle Vague con più di vent'anni, e a tratti può ricordare il triangolo di "Jules e Jim" di Truffaut. Tra le scene più belle, sicuramente il confronto tra i due uomini sulla nave che oscilla in balia delle onde, la gioia collettiva alla scoperta che Masha non era morta, il finale di timbro favolistico. Gli attori recitano con naturalezza, senza dare l'impressione di stare recitando un copione grazie ad una regia sapiente che valorizza ugualmente il ritmo e la composizione plastica dell'immagine. Più vicino a Chaplin che ad Eisenstein, in ogni caso, è un piccolo gioiello che merita una riscoperta anche dal pubblico, perché la rivalutazione critica è arrivata già da un pezzo.
Voto 9/10
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