Regia di Max Ophüls vedi scheda film
Il titolo originale tedesco, Liebelei, (ossia Libelài), ha la dolce musicalità di una sonata mozartiana. In questa romanza, tratta dall'omonima pièce di di Arthur Schnitzler, la grandezza della Vienna imperiale si distilla, infatti, in preziose gocce di sentimento, che irrorano una storia di passioni timide ed indistinte, eppure capaci di scuotere profondamente gli animi. Sul classico canovaccio ottocentesco a base di amori, soldati e questioni d'onore, Max Ophüls ricama col calore ingenuo e semplice della lana grezza, componendo quadretti di tenue romanticismo, tra paesaggi invernali, interni di case popolari, e viuzze rischiarate dai lampioni a gas. E' con questo tono dimesso e delicato che il film riesce a parlare di eternità: l'immortalità di un valzer di Strauss, solitamente celebrata in sontuose scene di ballo, appare qui racchiusa nell'abbraccio di una coppia solitaria, che danza attraverso le salette vuote di un piccolo caffè; e lo struggente presagio di morte contenuto nella canzone Schwesterlein di Johannes Brahms viene declinato con la voce tremante della commozione infantile. Ophüls non indugia mai in sottolineature estetiche, non calca mai la mano sulla bellezza, ma lascia che questa sgorghi con parsimonia e naturalezza, come un singhiozzo dal petto o una lacrima dagli occhi. Le sfumature fragili dell'innocenza e della debolezza, e le grandiose forze cosmiche dell'amore e della morte appartengono, in fondo, allo stesso mondo, in cui dipingono, con colori ora carichi, ora sbiaditi, il variegato universo dell'interiorità e del destino di ogni uomo.
Meravigliosa intepretazione di una tenerezza angelica che si sublima nell'estremo sacrificio.
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