Regia di Dan Gilroy vedi scheda film
Esaltazione, decadenza, redenzione e decorosa fine di un avvocato con occhio dedicato alle cause per i diritti civili, ex attivista, fa ora il lavoro oscuro in uno studio dove è socio di minoranza.
Un infarto improvviso del socio lo costringe a presentarsi in aula, e la sua intransigenza morale farà saltare subito convenzioni e consuetudini.
Personaggio vintage, solitario, maniacale, trasandato, topo d'archivio dotato di memoria prodigiosa.
Roman J. Israel Esq. (titolo originale del film e biglietto da visita dove Esq. sta per esimio, titolo del quale il nostro piace fregiarsi: “esimio è subito dopo Gentiluomo e prima di Cavaliere”), sembra avulso dal mondo di lustrini, arroganza e cupidigia che gli corre attorno; prende appunti a mano sulle cause, cura da una vita una riforma della “sua” Giustizia (opera infinita sempre appresso nella sua borsona da passeggio).
Incicciottito a dismisura (grossa delusione per mia moglie, fan sfegatata), col capello improponibile, pieno di tic, goloso di burro d'arachidi; l'avvocato degli indigenti sembra vivere di quieta e rassegnata nostalgia e poche pretese, ma quando un rampante avvocato (Colin Farrell), cresciuto con il socio di maggioranza, subentrato per la chiusura dello studio, gli offrirà lavoro da lui, intravedendone le potenzialità, bisognoso comunque di lavorare e messe da parte le reticenze iniziali, accetterà l'offerta.
Da lì parte una parabola ascendente fino all'episodio che lo vedrà mettere lo studio in difficoltà con la promessa di licenziamento dell'algido Farrell, che lo indurrà all'errore fatale, al cedimento morale, alla caduta di stile, venendo meno al segreto professionale.
Denzel/Israel assaporerà il profumo del lusso, dei soldi, della vita agiata, dimenticando per un lungo attimo le battaglie civili e la sua dedizione ai più deboli.
Ma gli inganni non avranno vita lunga, i nodi verranno al pettine, e lo spirito puro e cristallino di un'attivista conosciuta da poco, che vedeva in lui quella passione idealizzata per cui lottare una vita, lo riporterà nella dimensione a lui più congeniale, anche se il prezzo da pagare sarà altissimo.
Questa la vicenda in soldoni.
Denzel certamente piace molto più del film, tutto sommato, per quanto costruito, reso bolso, dai movimenti quasi autistici, con quegli occhialoni tirati su di continuo, le cuffiette col suo rock d'epoca costantemente sulle orecchie, artatamente falsato in funzione di un personaggio fuori sincrono, rispetto al mondo frenetico che lo circonda.
Lo preferisco in Barriere, dove senza troppi marchingegni scenici, ci inonda di classe pura.
Qui neanche il debole plot riesce a convincerci troppo, il legal thriller vive di strappi episodici cuciti attorno al necessario egocentrismo dell'esimio Denzel Washington.
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