Regia di Dan Gilroy vedi scheda film
CINEMA OLTRECONFINE
Il tragico destino occorso al suo principale, colpito da un infarto che lo ha reso come un vegetale, dopo che per anni l'uomo è stato a capo di un noto studio legale proteso alla difesa dei diritti dei più deboli, porta allo scoperto un indifeso e vulnerabile Roman J. Israel (un Denzel Washington adeguatamente trasformato, inquartato ed imbruttito), pingue avvocato di colore, single, dal carattere ombroso ed indecifrabile, vulnerabile e non in grado di saper gestire a dovere questo importante imprevisto abbandono.
Il sopraggiungere nella direzione dello studio, di un più giovane e di assai bella presenza avvocato di successo (Colin Farrel, la quintessenza del cinismo più sottile ed abilmente orchestrato), già allievo brillante ed apprezzato dell'ormai defunto capo scuola, getta sconforto e smarrimento nel nostro uomo. Un tipo obiettivamente sgradevole alla vista, eccentrico ne vestire, nell'atteggiarsi, solitario, incapace di sostenere rapporti di amicizia o di convivenza con alcunché.
Uno smarrimento che se da un lato conduce l'avvocato a trarre profitto da una sua posizione di informato dei fatti, lucrando su una ricompensa letteralmente soffiata alla polizia e all'autorità in cambio di una informazione riservata, dall'altro lo mette in condizione di entrare in contatto con una donna impegnata da tempo nella lotta contro le ingiustizie a carico del ceto più debile.
Avviando l'uomo non tanto a diventare più gradevole, socievole, nei modi di essere e comportarsi e alla vista altrui, ma inducendolo piuttosto ad affrontare il suo lavoro con una rinnovata responsabilità che parta esattamente da una propria coonvinzione personale, non condizionata da sottomissioni carismatiche di un capo onesto e certo meno tendenzioso del suo attuale doscepolo a capo dello studio, ma comunque in qualche modo colpevole di averlo condizionato e reso quasi come un tassello senza personalità per le decine di anni che hanno preceduto quel momento.
Tutto sullo sfondo di una giustizia americana che appare più giusta con chi se lo può permettere economicamente, e per chi ancora oggi si presenta col colore della pelle più adeguato a sostenere le ragioni di una sua difesa contro ingustizie, soprusi, o miopi congetture che le evenienze e gli ostacoli del mondo circostante costruiscono e incementano su determinate persone venute a trovarsi nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
Per la regia del volenteroso e a volte apprezzabile Dan Gilroy, di cui ricordiamo l'incisivo ed inquietante Nightcrawler- Lo sciacallo, con il memorabile Jack Gyllenhaall, "ROMAN J. ISRAEL, ESQ" è essenzialmente un "film d'attore": un veicolo costruito ad uso e consumo del suo pilota, al fine di elevarlo e celebrarlo, e a cui Denzel Washinton si dedica anima e corpo (ingrassando e costruendo la goffaggine del suo personaggio sgradevole e pure un pò antipatico), con la precisione calligrafica e la sensibilità che da sempre è impossibile non riconoscergli.
E anche se il suo ritrovarlo quasi ogni anno puntuale quasi quanto la Streep alla nomination all'Oscar come attore protagonista, può avantaggiare dei sospetti di accanimento testardo quanto ottuso da parte di un Academy sin troppo conservatrice, nei confronti del grande interprete, tuttavia in questa sua performance Denzel è davvero bravo, con quello sguardo un pò bovino, quella capigliatura impossibile, quegli occhiali esagerati, quei completi molli e deformati dai colori impossibili, quella valigetta da dottore consunta colma di pratiche incartapecorite; e tutto il merito detenuto da un film che non evita certe prolissità e lungaggini inutili, finisce comunque per risiedere nella prova fondamentale del celbre divo, a cu iperaltro fa da perfetto contraltare un Farrel fascinoso, vestito come un modello e freddo come un rettile, con quei suoi occhi rapaci inquietanti che ispirano un sentimento di sopraffazione e di soffocamento dell'avversario.
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