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Irma la dolce

Regia di Billy Wilder vedi scheda film

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H Bakshi

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Irma la dolce

di H Bakshi
10 stelle

Non solo originale e divertente: è l’apoteosi dell’ambiguità. Wilder e Diamond scelgono un argomento volutamente “scabroso”, lo dipingono, manipolano, stravolgono, smontano e ricostruiscono, passando attraverso l’improbabile e addirittura il fantastico, giocando al tempo stesso con la censura e vincendo la scommessa di creare un film perfetto.

Una delle risorse del comico: prendere un cliché diffuso e mostrare l’altra faccia della medaglia”. Così si esprimeva Billy Wilder in una delle sue interviste, e questo concetto basilare per le sue commedie arriva, in “Irma la dolce”, all’espressione più esasperata e al tempo stesso più compiuta. “Irma la dolce” non è soltanto un film particolarmente originale e divertente, ottimamente girato e con una colonna sonora raffinatissima: è ben di più. E’ l’apoteosidell’ambiguità. Wilder e Diamond scelgono un argomento volutamente “scabroso” (la prostituzione e il suo sfruttamento), lo dipingono, lo manipolano, lo stravolgono, lo smontano e ricostruiscono passando attraverso l’improbabile e addirittura il fantastico, giocando al tempo stesso con la censura e vincendo la scommessa di creare un film perfetto. Si tratta della storia di Nestore Patou, un poliziotto integerrimo che viene trasferito del malfamato quartiere delle “Halles” di Parigi (ai tempi in cui quello era il “ventre della città”). Qui Patou scopre un mondo di prostituzione e corruzione e in pochi minuti, grazie alla sua ingenuità ed alla pervicacia con cui denuncia il “sistema”, si ritrova radiato dal corpo della polizia, senza stipendio e senza un tetto. Viene adottato da “Irma la dolce”, la prostituta di maggior successo di “Rue Casanova”, che ne fa, suo malgrado, il proprio protettore. Tutto si svolge intorno al bistrot “Chez Moustache”, dove Patou (interpretato da Jack Lemmon) non riesce ad arrendersi all’idea “piccolo borghese”, che Irma (la donna di cui è innamorato, interpretata da Shirley MacLaine) continui a incontrare, seppur con il distacco legato alle esigenze di servizio, i suoi numerosi clienti presso il vicino Hotel (si chiama “Casanova” anche questo!).

Sarebbe lungo fare l’elenco di tutti i cliché puntualmente contraddetti nel film. E si rischierebbe pure di non essere completi. In ogni piega della trama scattano le trappole. Patou è mingherlino ma incredibilmente ha la meglio contro il precedente protettore energumeno che non vuol cedergli Irma. Tra i clienti delle prostitute arrestati durante una retata all’Hotel, il primo è proprio il commissario della Polizia. I poliziotti che hanno preceduto Patou nel servizio a le “Halles” sono regolarmente corrotti, ma a fare le spese di questo andazzo sarà il nostro eroe innocente. Nestore è l’esatto opposto di quello che definiremmo un “pappone”, ed infatti lo fa “malgre lui”. Irma ama teneramente Nestore e, proprio per questo, vuole “lavorare di più” per permettergli sempre nuovi agi. Vuole che risplenda dei propri doni, in modo che nessuno possa dire che lei non è in grado di mantenerlo adeguatamente. Sappiamo che Wilder scelse la MacLaine per impersonare Irma proprio perché i suoi modi e il suo aspetto erano lontani mille miglia da quelli di una donna di mondo e lontani da certi canoni di seduzione. Ogni volta che Irma si scopre, lo fa senza malizia. Paradossalmente, nell’unica scena in cui indossa una sottoveste trasparente a scopo seduttivo, Nestore si addormenta perché è stanco morto. Irma è convinta che il padre della bambina che darà alla luce alla fine della storia non sia Nestore, ma “Lord X” (che è in realtà l’alter ego di Nestore stesso) e precisa che “una donna, certe cose le sa sempre”. A Nestore non resta che darle ragione e dirle che amerà la piccola, come se fosse sua. La chiesa dove i due protagonisti si sposano diventa il luogo di un parto. Tutti questi esempi hanno evidentemente una relazione con il concetto di “maschera sociale” e quindi con quello dell’identità. Ma, così come all’inizio del film la voce off raddoppia il significato delle immagini spiegando che assisteremo a “una storia di passione, di violenza, di desiderio e di morte ovvero di tutte le cose per cui la vita vale la pena di essere vissuta”, allo stesso modo il discorso sull’identità, sulla sua funzione di “etichetta ingannevole” viene raddoppiato dagli interventi del barista “Moustache”, interpretato da Lou Jacobi. A seconda degli eventi, il saggio “Moustache” ci dice che, in altri periodi della propria vita è stato: professore di economia alla Sorbona, leguleio a Grenoble, capo ostetrico in Africa (con il dott. Schweitzer), ultimo soldato a lasciare Dunkerque anche se la voce off ci informa che non si è mai chiamato “Moustache”. Secondo le fonti della polizia, si tratterebbe di un avventuriero rumeno di nome “Costantinescu”, (rumeno proprio come Diamond). “Chez Moustache” era sempre stato il nome del Bistrot e il personaggio si era fatto crescere i baffi piuttosto che cambiare l’insegna. In una scena memorabile, Nestore Patou sfugge ad una perquisizione della polizia rivestendo i vecchi panni da flick ed infiltrandosi tra i suoi stessi inseguitori. L’uniforme diventa quindi un semplice specchietto per le allodole. In conclusione: per Wilder e Diamond la vita e le necessità di sopravvivenza valgono ben più delle effimere etichette, sotto le quali si celano i veri splendori (e le vere miserie) delle persone. Come in altri film del regista, anche qui l’amore (l’unico sentimento di cui Wilder e Diamond non hanno mai messo in dubbio l’autencità) si infiltra tra le consuetudini sociali (quali che esse siano) e fa muovere tutto, anche a costo di ribaltare ipocrisie e mascheramenti.

Un’ultima notazione: si attribuisce al regista un commento ironico ai complimenti ricevuti per un altro suo famosissimo film, ovvero “A qualcuno piace caldo”, definito esempio luminoso di commedia americana, nel quale Wilder spiega che si tratta in realtà di un adattamento da un film tedesco, a sua volta adattato da uno francese, e per giunta scritto da un austriaco e da un rumeno! Che dire allora dello stesso austriaco e del rumeno, che qui scrivono una commedia in cui un attore americano recita come fosse un francese che si spaccia per inglese? Direi che si tratta di un esempio luminoso di cosmopolitismo basato sulla declinazione degli stereotipi. Evidentemente, per dirla con Rousseau, Wilder e Diamond erano uomini di paradossi piuttosto che di pregiudizi. 

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