Regia di Roger Avary vedi scheda film
Allucinato, sulfureo, ghignante, estatico, "Killing Zoe" racconta, simultaneamente, un'autodistruttiva e inarrestabile discesa agli inferi e una vertiginosa ascesa nei paradisi (artificiali?) dell'amore assoluto e folgorante. Zoe (Julie Delpy) - etera eterea, figura angelica palesemente salvifica - ed Eric (Jean-Hugues Anglade) - criminale mefistofelico, crepitante incarnazione diabolica - si contendono l'anima di Zed (Eric Stoltz), scassinatore di talento convocato d'urgenza a Parigi per un colpo in banca da realizzare il giorno dopo, il 14 luglio. Roger Avary mette in scena questo duello dalle risonanze metafisiche con una chiara predilezione (e un gusto letteralmente irresistibile) per le situazioni grottesche, ma sempre percorse da un'intima, lacerante conflittualità. Emblematico il primo incontro tra Zed e Zoe: la prostituta-artista dichiara con sfacciata innocenza il suo trasporto sentimentale all'uomo appena conosciuto ("noi combaciamo", dice), provocando la perplessità di lui, combattuto tra l'attrazione provata per la donna e l'oggettiva assurdità della circostanza. Ogni episodio è carico di profonda, sconcertante ambiguità, ogni passaggio narrativo è suscettibile di rovesciarsi nel suo opposto. Non c'è sequenza sul cui sviluppo lo spettatore possa ragionevolmente scommettere: è un film che sembra stare in piedi per miracolo, sempre sul punto di esplodere. E di esplosioni ce ne sono nell'esordio registico di Avary. A raffica. Eppure, ancora una volta, gli scoppi di violenza non si esauriscono nello spargimento di sangue, nell'effetto granguignolesco, nel cruore, ma vengono trasfigurati in momenti espressivi di stupefacente densità cromatica, in chiazze rosseggianti che punteggiano una danza macabra morbosamente carnascialesca, in pura irrorazione estetica: è la pellicola stessa a sanguinare, non i corpi. Paradossalmente. Perversamente.
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