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La rosa purpurea del Cairo

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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giansnow89

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La rosa purpurea del Cairo

di giansnow89
7 stelle

Un film fantastico insolitamente amaro.

Il vincolo della quarta parete è apparentemente una barriera insuperabile: possiamo ricorrere al più a dei surrogati per tentare di infrangerla. Ad esempio, vedere e rivedere un film fino allo spasimo, così che esso si riveli a noi come un fedele compagno privo di segreti e di coni d'ombra, che non ci tradirebbe né deluderebbe mai. Un film amato è simile allo specchio delle brame di Harry Potter: la sua soave malìa è così conturbante che è facile perdersi nelle sue spire, mentre il mondo là fuori sembra intanto sempre più incolore. Ma se esistesse davvero un modo per infrangere la barriera della quarta parete? Tanto accade alla protagonista dell'opera di Allen in oggetto, la spaurita Cecilia, la quale vive un'esistenza mesta al tempo della Grande Depressione americana, dove il momento di evasione del cinema non è solo piacere, ma è anche salvezza. Una salvezza temporanea, certamente: un palliativo che attenua la tristezza ma non la cancella. Una situazione che non può lasciare indifferente Tom Baxter, l’impavido uomo d’avventura di una commediola che Cecilia sta riguardandosi per l’ennesima volta al cinema: hey tu, dico proprio a te, devi proprio essere innamorata di noialtri balordi che siamo qua a suonare sempre la solita ripetitiva musica, se non ti stanchi mai di sorbirti il nostro spettacolo! ti meriti proprio un premio! Orsù, fuori dal grande schermo, ché si parte per un surreale itinerario metacinematografico. Il film di Woody Allen diventa immagine su schermo della realtà nostra; la commedia in cartellone al cinema cittadino si fa invece espressione di quel cinema dove le cose vanno sempre deliziosamente tutte per il verso giusto, e i cui protagonisti non sopravvivrebbero un solo giorno nella giungla del mondo reale.

La situazione prende evidentemente pieghe sempre più assurde: Baxter incontra il se stesso attore “reale” (e lo insulta anche, perché come ovvio l’attore ha un carattere agli antipodi rispetto al suo); il film nella sala si blocca in attesa che torni all’ovile il figliol prodigo; Cecilia, su invito di Baxter, ricambia il favore, entra all’interno del film a sua volta e trascorre una notte brava nella Manhattan cinematografica; infine si trova a dover scegliere tra uno dei due spasimanti, l’attore o il personaggio, la realtà o la finzione, facendo pendere il piatto della bilancia dalla parte dell’attore in carne ed ossa, in quanto “vero”. Talmente vero, che partirà immediatamente per Hollywood senza la Cenerentola al seguito.

Forte poteva essere la tentazione in Allen di ricorrere al consueto epilogo conciliatorio (e consolatorio) nonché posticcio di questo genere di film: ad esempio, poteva far risvegliare Cecilia in sala, svelando tutto quanto come un sogno generato dalla stanchezza e dalla tensione. E invece è tutto quanto vero per la povera Cecilia, abbandonata da quell’attore famoso di Hollywood che per un giorno aveva sognato di amare, e costretta quindi a tornare alla sua vita di stenti con un marito che la disprezza,  obbligata di nuovo a riparare in quell’ora e mezza di rifugio cinematografico per obliare un attimo le ansietà e gli affanni. Paradossalmente la non-negazione dell’impalcatura fantastica del racconto ne amplifica il realismo e ne rende estremamente pessimistico il finale: se nemmeno un intervento magico è riuscito a mutare la condizione di Cecilia, se tutto è rimasto tal quale a prima nonostante lo sconvolgimento totale di ogni cognizione logica, che cosa potrebbe riuscirvi?

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