Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Un film splendido per la fotografia e le scenografie. Imperfetto per la lunghezza di tante situazioni, e un eccessivo compiacimento estetizzante. Importante per la resa veritiera di gran parte della società italiana, al netto della resa comunque utilmente grottesca.
Alcune scene derivano da intuizioni proprio infelici, che andavano tagliate (quella iniziale con la pecora; quella dell’incidente del camion …).
Sulla società italiana, questo film appare persino documentaristico, nella trasformazione della classe dirigente a cavaliere tra XX e XXI secolo. Forse il suo maggior valore è proprio questo: far apparire come poco credibile, e rivoltante, quello che invece è stato, e molto probabilmente è ancora (in certi casi anche senza Berlusconi al potere), lo specchio della realtà, che decine di milioni di italiani si sono scelti tramite l’esercizio del voto (colpa loro se non è stato diverso! Poteva benissimo esserlo). Non è poco credibile che la classe dirigente sia formata da drogati, da criminali, da persone politicamente e moralmente corrottissime, di una falsità da competizione, di un’insensibilità piena rispetto al male fatto verso altri: è la realtà, e purtroppo è stato credibile, perché gli italiani lo hanno permesso, quindi lo hanno voluto e incoraggiato. In realtà questo accade in tutto il mondo; ma nei paesi (cosiddetti) progrediti l’Italia è all’avanguardia di questo incancrenimento della propria classe dirigente. Questi tumori politici non hanno attecchito, almeno nei paesi Ocse, da nessuna parte come qui da noi, che quindi deteniamo la palma del peggio. L’Italia ha fatto scuola, nell’indicare la strada dell’antipolitica, con Berlusconi: questo è il peggior populismo, non certo altri. Ma non si creda che la Democrazia cristiana avesse creato meno danni prima: solo era più sobria, ma semplicemente perché non aveva bisogno di vendere come Berlusconi. E Sorrentino con “Il Divo” ha indagato bene anche quest’altro aspetto della putrescenza italiana, che è stata la Dc, e su cui c’è sempre pochissima analisi onesta. Ma è noto che anche dopo, e nel centrosinistra, quest’involuzione della falsità, della menzogna in vista del totale asservimento alla ricchezza propria e di pochissimi, abbia ricalcato grosso modo le stesse orme del “cainano”, come si è visto nel governo tra il 2014 e 2016.
Interessante, tra le altre cose, è la concezione della verità che Berlusconi insegna al nipote, corrompendolo sin dalla più tenera età: la verità non esiste; la verità è quella che riesce a far credere agli altri, e poco conta se non corrisponde alla realtà, ma solo al proprio interesse.
La pornografia di cui è intessuta la pellicola è una cifra sociologica e politica, adatta a una corretta interpretazione della Seconda repubblica: la volgarità vince. Senza essere fautori di un profondo squallore umano, in vista dell’opportunismo più amorale, quello che non può fare a meno delle condotte illegali: senza questo non si fanno carriera e soldi, in Italia, ma anche altrove, “primo mondo” compreso.
La prostituta è dunque il simbolo del successo. Ma è un successo disastroso per le conseguenze che lascia sulla società, e anche nella ricca opportunista meretrice stessa (che infatti non riesce a placare la sua angoscia senza la cocaina). Un successo, il suo, che dura solo pochi mesi, se va bene.
L’ignoranza, la totale assenza di progettualità verso il futuro, il mito dei soldi facili, l’incapacità di un pur minimo barlume di responsabilità sono doti della società dell’immagine, quella capitalista, quella della tv, che poi si è arricchita anche dei social. Pur essendo difetti, ovviamente, in realtà appaiono doti: le quali mostrano l’aspetto più negativo della democrazia nella società di massa. Proprio i mass media (ricordo al proposito “Videocracy” di Gandini), e i social, danno visibilità a chiunque. In questa democrazia è possibile per tutti credere di farsi apparire importanti, saltando a piè pari tutto il profondo e serio apprendistato che si deve fare per essere autenticamente felici nella vita, che si compie anche con i libri, ma non solo (come si vede anche in “Reality” di Garrone). Competenza, merito, autentico talento nelle cose che contano: tutto viene assottigliato e di fatto annichilito, al fine di far credere quello che si vuole. Nel fallimentare mito che siamo sempre tutti uguali in tutto, e che quindi basta arraffare un po’ per farsi strada, e non essere i mediocri come la massa; che la furbizia e l’antisocialità sono virtù, mentre chi osserva la legge e le regole è un fesso che giustamente perde, perché così facendo ha mostrato meno intelligenza. Un principio morale disastroso, che soprattutto al sud ha trovato udienza (principio odiato dai tantissimi meridionali onesti!). Principio che il Tarantini (personaggio realissimo!), bene interpretato da Scamarcio, mostra ottimamente, soprattutto alla luce della contrapposizione con il serio padre.
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