Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Trimalcione è l'immagine della Roma decadente, e la Roma decadente è sintetizzata nell'immagine metonimica di Trimalcione. Su questa equivalenza, su questa sorta di nastro di Moebius che lega senza soluzione di continuità l'individuale e il collettivo, ritengo si basi il film.
Il principale dilemma di fronte al quale ci mette il film, almeno per quanto riguarda il sottoscritto, è se sia lecito o no mostrarci il lato umano del suo protagonista; se mostrarcelo, in sostanza, come nient'altro che un uomo innamorato che ha perduto l'amore della moglie a causa della propria megalomania, non significhi santificarlo; se sia lecito, insomma, essere indulgenti con un personaggio come lui. Preferisco sospendere momentaneamente il giudizio.
Ciò che Sorrentino ha cercato di ricreare, a mio avviso, non è altro che una iconografia del fenomeno-Berlusconi. E il fenomeno-Berlusconi non è soltanto la persona, ma anche l'Italia che ha creato e che ne è lo specchio. Trimalcione è l'immagine della Roma decadente, e la Roma decadente è sintetizzata nell'immagine metonimica di Trimalcione. Su questa equivalenza, su questa sorta di nastro di Moebius che lega senza soluzione di continuità l'individuale e il collettivo, ritengo si basi il film. Dunque, se si vuole raccontare il fenomeno-Berlusconi nella sua globalità, probabilmente potrebbe considerarsi lecito passare dal degrado quasi apocalittico dell'Italia delle olgettine, al Berlusconi privato che tenta di riconquistare l'amore della moglie, forse perfino correndo il rischio di farcelo risultare simpatico.
Sorrentino non vuole prendere posizione pro o contro, sembra più interessato a lasciarsi trasportare dal proprio immaginario barocco, debordante, sempre più vuoto, gelido, estetizzante, ma che in questo caso, forse senza neanche volerlo, risulta particolarmente adatto a rappresentare quel tipo di mondo: quale modo migliore per rappresentare l'Italia abbrutita degli ultimi vent'anni, il paese dell'impero mediatico berlusconiano, un paese fatto più di immagini che di altro, se non quello di servirsi proprio dell'estetica tamarra, kitsch e plastificata dei videoclip di MTV o dei programmi Mediaset? Qui è dove Sorrentino, probabilmente, da il meglio di sé: nell'incastonare l'Italia berlusconiana in una serie di quadretti estetizzanti che non vogliono giudicare moralisticamente né apparire poetici o profondi come ne "La grande bellezza", in una serie di immagini pantagrueliche fatte di corpi mercificati, drogati, svuotati di qualunque umanità.
Dove il film comincia un po' ad annacquarsi, forse, è proprio nel momento in cui l' "entità" quasi astratta, quel "Lui" semidivino che sembra celarsi dietro l'Impero che ci è appena stato mostrato, ci appare in carne ed ossa. Qui, negli scialbi scambi di battute fra Silvio e Veronica, il film rischia a tratti di diventare piatto e televisivo.
Per lo meno fino al momento in cui non si giunge alla "resa dei conti" fra i due, al momento cioè in cui il Berlusconi pubblico e quello privato vengono a coincidere, ovvero, quando Veronica comincia a sottoporre il marito a quell'interrogatorio al quale tutti i suoi detrattori lo hanno sottoposto pubblicamente fino ad oggi e vorrebbero continuare a sottoporlo: "dove hai preso i soldi che ti hanno consentito di iniziare la tua carriera?", non è un giudice a chiederglielo, ma la moglie, la compagna di una vita che, proprio perché lo conosce bene nel privato, è in grado di mettere a nudo il re, rincarando infatti poi la dose e smontandolo pezzo per pezzo: "tu non sei bravo come credi, se sei diventato così potente è solo perché ti sei servito di persone potenti che ti hanno parato il culo".
E' qui che la dimensione privata viene a coincidere con quella pubblica, ed è qui che capiamo che la facciata estetizzante e gelida che non ha altro scopo che vestire l'horror vacui del nostro tempo, lo squallore e il degrado delle feste a base di sesso e coca, trova il suo corrispettivo nella maschera di plastica di un uomo infantile e vuoto, che cerca di esorcizzare la paura della morte giocando a fare il Don Giovanni.
Firmato: un anti-berlusconiano e anti-sorrentiniano.
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