Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
“Loro” sono «quelli che contano», per bocca dell'arrivista-magnaccia Sergio Morra (ovviamente Tarantini). E quindi la corte del Re. Lui. Anzi: LUI. Servi e servitori e servetti, politici e imprenditori, amministratori pubblici e cantastorie.
Ma “Loro” sono anche il troiaio a perenne disposizione, ovunque e comunque, tra infinite piste di coca (sul “libro” di LUI fa anche un certo effetto) e coreografie studiate atte a creare sommo sollazzo.
Infine, “Loro” sono il popolo italiano – quindi NOI – che ha creduto alle sue bugie – ripetute e con tali applicazione e convinzione da diventare incontestabili verità – e lo ha eletto a più riprese.
Bene, grazie.
Non un film su B. ma sul B. che è in tutti noi. Come da previsione.
Sorrentino evita enfasi di “indignazione” collettiva e derive giudiziario-legali alla Travaglio ma non riesce a (r)aggiungere scarti di sorta. Fin troppo palesi gli intenti, esposta la matrice esplicativa, lineare il corpo narrativo. Persino la forma appare meno ispirata: i tipici estetismi sorrentiniani risultano come ingabbiati in un girotondo di mera concretezza, di mera applicazione della/e tesi. Appunto, fin troppo (auto)limitato: vien naturale pensare che un giudizio anche solo normalmente ponderato – figurarsi “definitivo” – lo lo si possa avere ed esprimere solo dopo la parte seconda.
Pretenzioso. Non sarebbe Sorrentino, altrimenti.
Comunque.
Resta una prima ora di anfetaminica descrizione dell'arrampicata nei luoghi che contano (i palazzi del potere, Roma, la dimora di fronte a Villa Certosa) da parte di Sergio Morra (Scamarcio ombroso e lascivo quanto basta), figlio di quel «cesso di Taranto» e di un uomo retto, vero lavoratore. Le sniffate di coca, le pasticche, l'alcol, le puttane, il lusso, le contaminazioni con l'immondezzaio della politica e l'aspirazione massima: conoscere LUI.
La mdp si libra vorticosa in scena, incollandosi a corpi e volti, tra sequenze drogate e arresti controllati, esplosioni musicali e implosioni dialogiche, mentre le consuete apparizioni “animalesche” (un agnellino, un rinoceronte, un ratto, ma pure l'uomo innominabile chiamato semplicemente «DIO») infondono il motivo metaforico (l'innocenza destinata a congelarsi nell'artificio e quindi a perire, la fuga dalla giungla urbana, il sudiciume e la corruzione morale, l'immanenza del potere).
Poi si manifesta LUI.
[travestito per far ridere e cercare di riconquistare la moglie, quella che lo conosce «da ventisei anni» e non c(r)ede alle sue palle]
E affiora, crescente e inesorabile come un talk show, il disinteresse.
L'oggetto di studio – tutte le magagne, gli accompagnatori (il menestrello apicelliano, i politicanti, il segretario particolare di bianco vestito «che sa le cose»), le “lezioni” a sottoposti e nipote – come dire, annoia.
Da un po'.
Non aiuta la maschera paludata dell'attore, volto e corpo di plastica e crogiuolo di rughe: Servillo che fa Servillo che fa Berlusconi che fa Servillo che fa Berlusconi è un giuoco inutile e tendente al tedio.
D'altronde, come noto - e come dimostrano le cronache anche recenti -, il macchiettismo dell'originale è inarrivabile per costanza, originalità, indole, inventiva, scelta dei tempi.
Non rimane quindi che osservare passivamente il balletto sentimentale con la moglie – di lì a pochi anni in procinto di trasformarsi in epica battaglia legale –, l'andirivieni stanco e annoiato di LUI, i ciuffi d'erba intonsi di Villa Certosa.
In attesa di Loro 2 – si cade nuovamente nella trappola sorrentiniana – le uniche domande post-visione riguardano a quali personaggi della realtà si riferiscono quelli i cui nomi sono stati cambiati (per ovvie ragioni di natura legale) o che siano del tutto inventati (ma che conterranno sempre riferimenti puntuali).
Un po' pochino.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta