Regia di Mario Martone vedi scheda film
Ho sempre associato le comuni alla cultura hippie degli anni '60, pur riconoscendone l'eredità concettuale nei moderni villaggi eco-sostenibili e nell'intuizione del co-housing, fenomeni che stanno attualizzando il messaggio, ormai sbiadito, di quel periodo di epocali cambiamenti. Non sapevo, invece, che il concetto fosse così radicato nel passato e che molti tentativi di "comune" avessero preso piede tra '800 e '900. Mario Martone ed Ippolita Di Majo raccontano l'utopia e la sua fragilità ricreando un'ipotetica comune nell'isola di Capri ambientando la loro storia negli anni precedenti la Grande Guerra. Nel far ciò prendono spunto dalle esperienze del pittore tedesco Karl Wilhelm Diefenbach che nell'isola si rifugió dopo il fallimento della comune di Ober St. Veit da egli stesso fondata alla periferia Vienna nel 1897. A Capri il pittore tedesco visse dallo sbarco del 1900 fino alla morte avvenuta nel 1913 senza squilli di tromba e riconoscimenti formali al proprio operato artistico. Seybu (Reinout Scholten van Aschat) ricalca la figura di Diefenbach. A dimostrarne la somiglianza fisica ci pensa il ritratto di Ettore Ximenes che Martone avrà, senz'altro, visto nelle stanze del Museo della Certosa, dedicate, in via permanente, all'esposizione dei dipinti dell'autore nordico. Capelli lunghi e sciolti sulle spalle, barba folta, camice bianco, il corpo ossuto di chi segue una dieta povera di proteine: il pittore è un guru ma con un magnetismo che sembra provenire da quella stessa luna che ne bagna il corpo nudo attraverso i raggi argentei del plenilunio.
Molti sono attratti dallo spiritualismo di Seybu. Tra di loro la giovane pastora Lucia (Marianna Fontana) che incarna la bellezza naturale e polposa del Sud, una bellezza ben diversa dai corpi bianchi e asciutti che danzano tra gli alberi al chiarore delle candele, una bellezza che trasuda del calore del terreno scuro e del sale della brezza marina. Tra "l'aere" leggera e impalpabile del misticismo e la "terra" agreste del mondo contadino si insinua il "fuoco" della politica nella figura del medico, il giovane Carlo (Antonio Folletto) innamorato della bella e scontrosa Lucia.
I coniugi Martone si servono di questo terzetto di personaggi per descrivere un'epoca percorsa da nefasti venti di guerra. Lo scontro verbale e filosofico tra il pittore e il dottore mette in scena lo scontro tra pacifisti contrari ad ogni conflitto e interventisti che intravvedono benéfici effetti da una dichiarazione di guerra nei confronti degli imperi centrali. Ma lo scontro verbale tra il giovane medico, imbevuto di idee socialiste e al contempo seguace del nazionalismo allora imperante, ed il santone praticante del nudismo e del vegetarianesimo, è anche uno scontro ideologico tra chi crede nella scienza e chi invoca sugli esseri umani il balsamo della spiritualità e della connessione ascetica con la natura. In uno scontro tra un pacifismo inefficace ed elitario che non riesce ad amalgamarsi alla società ma che si sfama di un egoistico isolamento materiale oltre che ideologico, e un interventismo che dietro a roboanti dichiarazioni d'intento nasconde interessi economici e l'illusione dell'imperialismo politico ed ideologico, Martone e di Majo sintetizzano nella figura di Lucia la risposta ai fallimenti di una scienza boriosa e di una spiritualità incapace di convivere con il progresso. Una spiritualità alternativa, quella di Seybu che non vuole cogliere le opportunità di una tecnologia in gran fermento e che preferisce isolarsi in un'aurea di superstizione mentre le illusorie certezze di Carlo rappresentano, nelle proprie contraddizioni, l'embrione dell'ideologia fascista che avrebbe sconvolto gli anni a venire. Lucia, senza un'istruzione riconosciuta ma dotata di tempra e buon senso riconosce prima il fallimento della più cieca devozione alla scienza e alle religioni ed infine intuisce che le idee sviluppate dal maestro non possono avere alcuna utilità senza una condivisione totalizzante. Lucia è, per gli autori, anche il modello di una donna anarchica. Lei è molto piú alternativa dello stesso maestro perché si scontra continuamente con una società che la vuole moglie e madre. La giovane donna manda a monte una proposta di nozze, lascia la casa di famiglia consapevole delle conseguenze, vive la propria dimensione spirituale in libertà ed in funzione di essa prende la decisione finale che la spinge verso altri lidi in cerca di una società, forse, più giusta. Martone realizza un lavoro dal respiro internazionale e dirige con l'eleganza e la raffinatezza che lo contraddistingue contrapponendo luci diurne accecanti ai colori di una notte rischiarata dalla luna. La notte sta per diffondersi, oscura, su tutta l'Europa e nulla è in grado di farmarne l'incedere violento, ciò dà al regista l'opportunità di riflettere ancora una volta sul cieco atteggiamento di ottimismo nei confronti del progresso tecnologico piegato dai sovranismi nazionali che ne coglieranno l'utilità distruttiva nei 30 anni successivi. Meglio agire secondo la propria coscienza senza abbandonarsi ai facili entusiasmi degli uni piuttosto che alla chiusura degli altri. Martone lancia l'appello verso l'autocritica e contro la manipolazione del pensiero. Lucia è l'appello del regista e Fontana è splendida nel rappresentarla. La sua recitazione sprigiona l'energia dei limoni succolenti e turgidi di Capri. Seduta, in coperta, mentre lascia l'isola natale ci imprime nella testa l'immagine di una donna volitiva, indipendente, senz'altro anomala. Mentre l'inquadratura pian piano si allarga dal volto risoluto di Lucia per cogliere i particolari di una scena più ampia, l'immagine ci racconta di migliaia di donne, come lei, che, fidandosi solamente del proprio giudizio, lasciano il proprio passato dietro le spalle e si imbarcano dentro una carretta in cerca di utopie.
Chili Tv
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