Regia di Mario Martone vedi scheda film
Mario Martone fa il suo ritorno in concorso al Festival di Venezia a quattro anni di distanza da Il giovane favoloso, biografia di Giacomo Leopardi. In Capri Revolution, esplosione di colori, nudi, luce e vivacità giovanile quasi in opposizione al lavoro precedente, Martone poggia la sua concentrazione su una storia che mischia spunti reali a elementi di finzione narrativa per raccontarsi dell’isola di Capri in tempi lontani e di come questa abbia fatto da culla con la sua dolomitica bellezza ad artisti, scienziati, rivoluzionari, idealisti e giovani desiderosi di libertà. Al centro della vicenda vi è la ventenne Lucia, la figlia più piccola di una modestissima famiglia di pastori di capre. Con il padre malato, la madre remissiva e dedita alle faccende casalinghe e i due fratelli assurti al ruolo di capofamiglia, Lucia si occupa della gestione del gregge, portando a pascolare gli animali tra impervi sentieri e natura incontaminata.
Non esistono ancora i turisti e l’isola nel 1914, alla vigilia della Prima guerra mondiale, è incontaminata. La sua bellezza non è stata ancora stravolta e la sua verginità attira gente da tutto il mondo. In una delle sue escursioni lavorative, Lucia si imbatte casualmente in quelli che la gente del posto definisce “demoni”, ovvero i componenti di una comune di artisti che ha il suo leader nel messianico Seybu. Barbo e capello lungo che fanno di lui ora un novello Cristo ora un guru new age, Seybu è un pittore che, arrivato da un Paese del nord Europa, ha trovato nell’isola il centro ideale per far crescere la sua colonia di artisti concettuali.
L’aggravarsi delle condizioni del padre porta Lucia a chiedere la visita del nuovo medico, il giovane dottor Carlo che, armato di ideali e propositi è appena arrivato dalla grande Napoli. Mentre il nucleo familiare di Lucia si appresta a vivere la tragedia che romperà per sempre lo status quo, Lucia – che non sa leggere, scrivere e parlare in italiano – subisce il fascino di Seybu, spiandone di notte movimenti e riti baccanali. Le fughe notturne e il rifiuto di sposare un attempato bottegaio la portano a decidere di abbandonare casa per trovare rifugio nella mistica comune. Lo scoppio della guerra, però, rimetterà in discussione la sua decisione.
Nel tratteggiare la sceneggiatura di Capri Revolution Mario Martone parte da alcuni elementi concreti. Sull’isola di Capri, nei primi anni del XX secolo, il pittore spiritualista Karl Diefenbach fondò una comune artistica il cui obiettivo primario era quello di praticare l’arte all’interno di una rivoluzione umana che metteva la natura al centro di ogni cosa. L’operato di Diefenbach si colloca nello stesso periodo, tra il 1900 e il 1913, in cui in Svizzera, nei pressi di Ascona, nasceva la comune di Monte Verità, destinata a divenire la culla della danza moderna. Martone sceglie di spostare l’azione qualche anno in avanti e di traslare la figura di Diefenbach, preso solo come spunto e non come modello biografico, in quella di Seybu, un artista performativo che, in nome dello spiritualismo e del veganismo, fa suoi concetti che decenni dopo svilupperà in realtà il pittore, scultore e performer Joseph Beuys: il progresso e il rapporto dell’uomo con la natura saranno fondamentali negli anni a venire per tutti coloro che si interrogheranno su spirito e materia e su ciò poggeranno le basi della loro arte. Seybu diviene nelle mani di Martone un modello da seguire: agli occhi di Lucia rappresenta il nuovo mondo, quello che rompe con la tradizione che la vorrebbe sottomessa, taciturna e destinata a un matrimonio di convenienza. Nei riti del suo maestro impara a essere leggera, a fluttuare nell’aria e ad avere una nuova percezione, fisica e metafisica, del suo corpo: da supporto a ciò, Martone inserisce una sequenza onirica che, sospesa tra sogno e realtà, restituisce la levità che la giovane capraia scopre grazie all’arte. Tra adepti, sessioni di sesso di gruppo, sperimentazioni artistiche e formazione (nel senso più letterale del termine, dal momento che impara a leggere e parlare in inglese), Lucia rinasce e impara ad avere percezione del suo corpo, del suo essere donna e della sua libertà, valore fondamentale a cui non può rinunciare.
Ogni nuova corrente di pensiero trova lungo il cammino chi è pronto a osteggiarla. Vale anche per Seybu e della sua voglia di supremazia della Natura sull’Uomo: in primis, la povera gente che, lasciata ai margini della società, non è aperta al nuovo e la maldicenza colpisce Lucia, vista da tutti come la vergogna dell’intera isola, come colei che si è lasciata contaminare dall’arrivo dello straniero e da chi ha rotto i rigidi confini del pudore; poi Carlo, il medico arrivato come l’elettricità nel momento giusto, è il simbolo forse più evidente del materialismo e della razionalità ma, a differenza dei componenti della comune, sa prendere posizione e si dimostra coerente con i suoi pensieri nel momento in cui c’è da partire per la Grande Guerra, da lui inneggiata durante il banchetto di accordo prematrimoniale di Lucia. Per Carlo, è l’Uomo ad avere il controllo sulla Natura. La figura di Carlo, medico generico, è in contrasto con quella di Herbert, una sorta di Freud in miniatura che lavora all’interno della comune e raccoglie le confessioni delle anime tribolate, come quella di Lilian. Herbert rappresenta la parte più irrazionale della filosofia rifugiandosi nell’ancestrale tradizione della mitologia greca, in cui l’uomo necessita di un’intercessione divina (Artemide, in questo caso) per avvicinarsi alla Natura.
Lucia sta a guardare fino a quando sceglie di essere finalmente libera dopo il susseguirsi di diverse circostanze: lo scoppio della guerra impone ai fratelli, che l’hanno ripudiata, di partire per il fronte; il precetto volontario del medico; e la visita alla madre che le confessa di condividere la sua ribellione e la sua voglia di liberarsi dal giogo maschile. La guerra, in particolar modo, la spinge a credere che la notte porterà qualcosa di nuovo, spingendola verso quel mondo nuovo a cui ha sempre aspirato.
Capri Revolution è un film che chiede uno sforzo allo spettatore per essere capito, non lo compiace e lo solletica a riflettere. Non propone un percorso da seguire, rimane equidistante e si affida a un trio di attori che hanno compreso a pieno le ambivalenze dei loro personaggi: Marianna Fontana, Reinout Scholten van Aschat e Antonio Folletto, in grado di restituire con il giusto pathos i vertici di un silenzioso triangolo amoroso che avrà forse il suo lieto fine non qui e non oggi. Un merito particolare va poi a Donatella Finocchiaro che, nella parte della madre di Lucia, torna a essere quell’attrice che da troppo tempo mancava al cinema italiano, e a Ludovico Girardello, il ragazzo invisibile di Salvatores che, nei panni di Citrus, è finalmente libero dalla leziosità a cui lo aveva costretto il ruolo precedente.
La protagonista assoluta rimane però l’isola di Capri con le sue vedute mozzafiato, le sue grotte sul mare e la vegetazione fitta, come quella di un Eden sulla Terra, pronto ad accogliere una rivoluzione che arriverà fino ai giorni nostri. La sua conformazione ribelle, il suo guardare da lontano le stanze del potere, i suoi confini acquatici illimitati e l’assenza di movimenti tellurici rappresentavano l’utopia di un’umanità finalmente pronta a rifondarsi nel segno della libertà. Non a caso, quasi en passant, il regista si ricorda di piazzare una scena con al centro alcuni rivoluzionari russi, che programmano ciò che avverrà dopo qualche anno nella loro nazione. Del resto, è un’isola di contraddizioni e di follia, di soggettività e di tradizioni, di mistero e di misticità, che nessuno riuscirà mai a imbavagliare, come ricordano le parole di Fabrizia Ramondino all’inizio del film:
“Quest’isola compare e scompare continuamente alla vista
e sempre diverso è il profilo che ciascuno ne coglie.
In questo mondo troppo conosciuto è l’unico luogo ancora vergine
e che ci attende sempre, ma solo per sfuggirci di nuovo”.
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