Regia di Vasiliy Sigarev vedi scheda film
Dopo Wolfy non ci si poteva sicuramente aspettare una commedia brillante da questo russo classe 1977. Infatti Living (Zhit) prosegue nella via di quel cinema ansiogeno e sostanzialmente senza speranza già visto. A differenza di Wolfy, però, c’è una svolta che concerne una differente tecnica espositiva. Nel primo vi era una prioritaria ricerca (talvolta esasperata) dell’immagine nonostante i contenuti non fossero, per questo, di secondo piano. In Zhit tutto pare convergere sulla trama, invero di non facile e immediata comprensione; questa volta con il supporto di una colonna sonora minimalista “in linea” con il film.
Russia, tre storie accomunate solo dalla stessa borgata di appartenenza dei protagonisti, un unico denominatore comune: la morte. Living (vivere) sembra una presa in giro del plot filmico; come dire questo è “vivere”. Come dire, ancora, la morte è di chi rimane, non di chi passa “a miglior vita” (chissà perché si dice così!). L’elaborazione del lutto quindi è una delle mille terrene sofferenze di chi rimane, di chi continua a “vivere”. Io l’ho interpretato così e sono comunque abbastanza preoccupato per questo quarantenne che, in così giovane età, ha una visione così lucidamente drammatica dell’esistenza: ha ragione! ma aveva almeno altri trent’anni per rendersene conto! Ciò detto questo lungimirante giovane Vasily costruisce due ore di film ad alto contenuto emotivo. Non sempre comprensibile nel montaggio (non si capisce immediatamente se alcune parti siano flash-back o momenti visionari; non si capisce chi sia realmente l’artefice del mancato suicidio di…..e qui mi fermo per non spoilerare), va sicuramente a bersaglio nelle vergate emotive indotte allo spettatore. Ho visto quasi tutto Tarr senza aver mai sentito il bisogno d’interrompere la visione di qualche sua pellicola; con Sigarev sì. L'ambientazione è sicuramente russa e le vicende narrate non sono riconducibili ad un definito decennio (potrebbero essere gli anni ’90) nè ad una specifica città, ma le sacche di degrado sociale rappresentate, la violenza impunita e l’apatia di chi vi assiste (scena nel treno) rappresentano l’immagine di un paese ancora socialmente in via di costruzione; il sostanziale distacco dello Stato dalle vicissitudini della gente comune (scena all’ospedale e della poliziotta) fanno il resto nel tratteggiare uno Stato distante, autoritario, quasi dittatoriale, nel quale i cittadini paiono solo sudditi non meritevoli neppure della comprensione o del sostegno che si deve a chi subisce un lutto. Ci da dentro alla grande ‘sto russo! Finale aperto in un film dove, comunque, manca qualcosa alla chiusura del cerchio espositivo, ma vi assicuro che quello che c’è è sufficiente a regalare due ore di autentica partecipazione.
Film per pochi, non per fare lo snob, ma perché un cinema così è più facile detestarlo che amarlo.
Una frase di Grishka che mi ha impressionato (rivolgendosi al Creatore): Pensa a suicidarti prima di attraversare la mia strada.
A mio parere è quasi nove, non ci arriva per poco. Arrotondo per eccesso.
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