Regia di Carlo Lizzani vedi scheda film
Un buon film, tecnicamente molto curato. La recitazione di tutto il cast è splendida, Mangano in primis. È lungo, ma non annoia mai: riesce a rendere bene una faida di potere realmente accaduta.
I personaggi sono restituiti in modo assai verosimile: Ciano, Farinacci, l’accusatore interpretato da Salvo Randone... Tra costoro forse svetta Pavolini: la sua frase “l’unica speranza viene dalla violenza” riassume poi bene lo spirito del fascismo, nel suo squallore disumanizzante.
L’unico appunto al film riguarda la scelta del soggetto: un film sul fascismo avrebbe dovuto aiutare a riconoscere meglio cosa esso è stato, nella sua pessima e infima natura (e non si nega certo l’oscenità di tutte le forme di potere che in Italia si sono succedute, purtroppo: di cui il fascismo resta comunque la pagina più raccapricciante) . Invece la sceneggiatura tratta questo come un momento interno al fascismo stesso, un momento di passaggio, che per quanto importante dà risalto soprattutto agli aspetti familiari delle persone coinvolte, alle loro scelte drammatiche. Ma, colpevolmente, non si dice nulla sulla scelta di fondo fatta da costoro: l’opportunismo di seguire la criminalità (= il fascismo, nella sua rozza antisocialità, spesso ignorante) è un peccato originale irredimibile che ha reso tutti colpevoli coloro che hanno fatto quella nefasta scelta (fatta quasi solo per soldi, potere e gloria, e per nient’altro, da parte di chi ha fatto carriera). Poco conta che al processo di Verona ci si dividesse tra accusati e accusatori: il loro essere tutti dalla parte del più profondo torto resta indiscutibile. Ma Lizzani questo non lo mostra affatto come si doveva.
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