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Il bene mio

Regia di Pippo Mezzapesa vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il bene mio

di yume
8 stelle

Pippo Mezzapesa porta a Venezia75 per le Giornate degli Autori un lavoro intimo, doloroso ma senza struggimento, che trasmette serenità mentre parla di realtà difficili che fanno riflettere.

locandina

Il bene mio (2018): locandina

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”

Cesare Pavese, La luna e i falò

 

Bisogna nascerci in certi posti, viverci a lungo e sapere com’erano quando li vedi sparire.

Un terremoto, un’alluvione, il crollo di un ponte, l’arrivo dei marziani, qualunque cosa, anche un abbandono graduale perché non c’è lavoro, i giovani scappano e i vecchi non ce la fanno da soli.

E come d’incanto flop, la tua vita non c’è più e non vedi più le facce dei tuoi cari, degli amici di sempre, e i luoghi del cuore si riempiono di sterpaglie e calcinacci.

E allora che si fa? Si scappa, si aspettano le casette, si costruisce altrove, i capitali arrivano, cospicui, e che importa se si poteva rimettere in sesto quello che c’era, che importa se in Germania hanno rimesso in piedi Dresda rasa al suolo?

Costruire altrove conviene, ed è inutile spiegare perché.

Sergio Rubini

Il bene mio (2018): Sergio Rubini

 

Ma tutto questo a Elia non interessa, lui resta.

Il suo paese si chiama Provvidenza, come la barca dei lupini dei Malavoglia, le storie di miseria in Italia sono quasi sempre meridionali.

Lui resta perché lì c’era la sua vita e il terremoto gliel’ha strappata via, ora gli resta la resistenza passiva, buttare giù a picconate il muro che gli costruiscono intorno, cacciare a male parole i bulletti di paese che arrivano da spacconi coi fari accesi sulle moto rombanti, eguardare dritto negli occhi il sindaco che lo minaccia di far intervenire la forza pubblica.

Elia ha un nome biblico che gli si addice, Sergio Rubini non poteva essere interprete migliore, così prosciugato, intenso, con una determinazione che sa di follia ed è invece l’unica risposta umana.

Elia è il profeta che incontrò Dio nel silenzio:

Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì Elia si coprì il volto con il mantello. Uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco venne a lui una voce che gli diceva: che cosa fai qui Elia? (1Re 19,11-13)

Sergio Rubini

Il bene mio (2018): Sergio Rubini

 

Elia non rinuncia al suo silenzio, anche se accoglie sempre con un sorriso i due amici che vanno a trovarlo e lo aiutano.

Ha dipinto un gran manifesto che all’inizio del film crea un’illusione.

C’è la piazzetta del paese, i negozi aperti, la gente che passa, i vasi di fiori sui davanzali.

Qualche secondo e il manifesto cade, lui lo riavvolge e la vista che resta è quella a cui siamo abituati, un borgo ormai in rovina più di quanto possa aver fatto un terremoto.

C’è il degrado che si accumula dove l’uomo ha abbandonato la partita, e le città muoiono, come gli uomini, se non le curi, se le lasci perché sei capace di fare a meno di loro.

Elia non è capace, è una persona vitale, energica, corre qua e là e sembra anche lui un fantasma in questo paese dove i fantasmi sembrano persone vive.

E quello che Elia credeva un fantasma arriva davvero ed è la clandestina tremante, ricercata dalla polizia, un animale braccato che non la smette più di tossire.

Dopo il suo arrivo le dimensioni della fiaba e della storia vera si confondono, dopotutto la storia di Elia e di Provvidenza ha tutta l’aria di un apologo e può starci qualche fuga nella fantasia.

Pippo Mezzapesa porta a Venezia75 per le Giornate degli Autori  un lavoro intimo, doloroso ma senza struggimento, che trasmette serenità mentre parla di realtà difficili che fanno riflettere.

 

Nuto, che non se n'era mai andato veramente, voleva ancora capire il mondo, cambiare le cose, rompere le stagioni. O forse no, credeva sempre nella luna. Ma io, che non credevo nella luna, sapevo che tutto sommato soltanto le stagioni contano, e le stagioni sono quelle che ti hanno fatto le ossa, che hai mangiato quand'eri ragazzo.”

Cesare Pavese, La luna e i falò

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

 

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