Regia di Robert Bresson vedi scheda film
Questa volta, dopo aver preso ispirazione da Dostoevskij più (Pickpocket, da Delitto e castigo) o meno (Così bella, così dolce, da La mite) liberamente, Bresson adatta un romanzo breve dello scrittore russo con discreta fedeltà, semplicemente trasportando le vicende ai suoi (del regista) giorni e ai suoi luoghi. Stiamo chiaramente parlando delle Notti bianche, opera che però era già stata trasposta per il cinema in maniera efficace da Luchino Visconti nel 1957: il rischio del paragone è forte e purtroppo, da questa prospettiva, la differenza fra i due lavori è abbastanza netta e volge a favore dell'autore italiano. Non che Bresson non sappia il fatto suo, anzi: ma ancora una volta, pur attenendosi in maniera stretta alle vicende narrate da Dostoevskij, lo stile della pellicola è eccessivamente personale, fatto di lunghi silenzi e riflessioni interiori (a fronte di pagine invece vivacissime, coinvolgenti), anche se per una volta il regista e sceneggiatore francese - proprio perchè non divaga più di tanto dalle pagine del libro - non affronta tematiche consuete come i sensi di colpa, i concetti di peccato e di salvezza, la fede e la speranza, la violenza e la negazione insite nell'uomo. Un Bresson minore, insomma, ma tutt'altro che mal fatto o addirittura brutto; sembra però che in questa occasione il regista si limiti a portare a termine un'opera per puro senso del dovere, senza lasciare il segno come saprebbe invece fare. Anche il finale, in questo senso, delude. I due protagonisti sono un po' anonimi: Guillaume des Forets, in particolare, sembra un Leaud scialbo. 5,5/10.
Una notte un ragazzo dissuade una ragazza a gettarsi da un ponte. Si rivedono nelle successive tre notti per raccontarsi le loro vite. Lei sta attendendo invano il ritorno dell'amato, che le aveva dato appuntamento proprio su quel ponte; ma nel frattempo nasce un sentimento fra la ragazza e il suo salvatore.
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