Regia di Barry Levinson vedi scheda film
Sesso è potere, grazie, signor Levinson, per la grande rivelazione. Sarebbe inutile stabilire i precedenti che abbiano potuto trattare simile contenuto, anche perché non ce ne sarebbe bisogno, basta la vita di tutti i giorni, in cui la famosa e tanto temuta "tentazione" è la forza di attrazione di uomini capaci di dimenticare tutto pur di disperdersi nei meandri della passione. Parlava di questo anche Attrazione fatale, e lì Lyne con un risultato traballante ma efficace sapeva parlarci dei timori e delle profonde crudeltà perpetuate dal maschio mai portandoci a giustificazioni da nessuna delle due parti, né quelle di un anti-eroe Micheal Douglas allora molto più in forma, né quelle di una folle Glenn Close che arriva a livelli inauditi di pazzia. Niente di più facile, poi, maturare dentro di sé, dopo quello e altri film, un'ostilità profonda per questo Douglas, sempre sorriso e profondamente marcio dentro, straordinariamente efficace in parti odiose, portatore di una catena di film-"rivelazione" che studiassero la debolezza dell'uomo occidentale. Non stupisce dunque come possa costui stonare in maniera esagerata in questo nuovo ruolo su misura per il marito (quasi) fedifrago ma in realtà di buoni sentimenti e amante della sua famiglia. Levinson, regista di mestiere che in Bandits aveva saputo fornire un simpatico ritratto demotivante di un gruppo di ladri, tira fuori questo orrido thrillerino hollywoodiano su commissione che spara più accuse possibili contro un intero mondo moderno per poi celebrarlo in un eroe che non arriva mai a sporcarsi le mani e sa sfruttare tutte le belle trovate (qualcuna superflua, qualcuna risolutiva) degli sceneggiatori per risolvere la fosca trama con cui quei gran cattivoni degli azionisti e dei proprietari di un'azienda informatica, spaventosamente corrotti e tanto idioti da tenere i dati di una importantissima fregatura (enorme ai danni di una piccola preda, e assicuriamo che queste grandi aziende simil-multinazionali nel mondo hanno bocconi molto più grossi) quasi a portata di tutti (specie della loro vittima), vogliono cacciare lui dall'azienda, un Micheal Douglas abbastanza macho e abbastanza virile da far mordere d'invidia tutti i suoi colleghi più o meno frustrati e da tener testa a un gran numero di donne, sempre nobilmente e mai senza il loro consenso (quella thailandese della segretaria non frega proprio nessuno). Non è tanto il manicheismo in se stesso a irritare, quanto ciò che ne consegue: Levinson sembra indeciso su che strada prendere, o meglio quale sia quella più credibile, e dunque prima si lancia in un'impari lotta dei sessi in cui l'uomo (finalmente!? Bah) è la vittima, e la donna è l'incantatrice, un bel gran pezzo di femmina che dietro le tendine nasconde una ninfomane a comando; dopo si perde in una seconda parte che vuole ingranare di nuovo il motore ma che si demolisce da sola fra kitschosissime realtà virtuali e colpi di scena che deludono le aspettative, almeno se aspettative ce ne fossero state, in quei barbosissimi crescendi musicali.
Nella prima parte il film è un prodotto insignificante e innocuo che si destreggia tra facilonerie e furbate assai ingenue dal momento in cui vuole ribaltare il ruolo di uomini e donne, nel crudele mondo dell'alta finanza aziendale in cui i cani randagi smettono di avere bisogno degli attributi e l'uomo è un animo nobile capace di resistere a una facile "scopata" (le parolacce pullulano nel film in uno spirito trasgressivo risibile). Ed è esilarante il discorso arrabbiato dell'avvocato del protagonista contro una Demi Moore che certo fa solo ridere nel momento in cui recita alla seconda (ovvero recita all'interno del film la parte della vittima): "solo le donne possono lamentarsi delle violenze sessuali?! Devono potere anche gli uomini!", cosicché il maschilismo più innocente possa farsi strada.
Nella seconda parte, invece, da quando tutto potrebbe davvero finire, perché la cosiddetta 'ordinaria amministrazione' è stata tirata per le lunghe fin troppo, arriva la grande attesa per una novità che non poteva essere meno sorprendente e che un amico thailandese e qualche altro piccolo deus ex machina sanno risolvere senza porci tanti problemi: peccato che a quel punto si siano sforate le due ore e che per dieci minuti dispersi Micheal Douglas si sia ritrovato quasi in un film di fantascienza in cui un androide con la faccia sempre di Demi Moore lo insegue armato di "eliminatore virtuale". Certo non può convincere l'idea che la grande amica segreta, che alla fine prende il posto di presidente nell'azienda (il mitico capitalismo azionistico rimane puro e inviolato, l'importante è aver tolto di mezzo la malafemmina di turno), rappresenti l'altra faccia della medaglia, quello della donna che se è per bene può davvero salire in cima alla piramide gerarchica della modernità: a quel punto davvero potremmo preoccuparci delle imposizioni di una gran cattivona alla produzione di una sorta di penna USB del secolo scorso piuttosto che dello sfruttamento che sempre la solita azienda (difesa dal protagonista in ogni occasione) impone ai sempre soliti thailendesi impegnati in un'azienda asiatica di loro proprietà. Magari con una stoccata anti-occidentale il film si sarebbe potuto rendere equilibrato con il suo illecito e becero moralismo: invece l'azienda sopravvive e vince nel migliore nei modi. Semplicemente il simpatico Micheal Douglas ha mantenuto il posto, per amore di un flusso capitalistico che tiene sotto il suo tetto borghese la sua bella famiglia borghese con moglie borghese e comprensiva. Sempre il solito tran-tran, Levinson ci fa sonnecchiare senza neanche concedere un bel nudo della Demi Moore: che forse i maschi in sala, come Douglas, debbano essere in grado di tenere a freno i bollenti spiriti e capire che quella che abbiamo davanti è la vera causa della nostra debolezza, e non siamo noi che, sotto sotto, amiamo essere "tentati"?
Semplicemente rivoltante.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta