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Youth

Regia di Xiaogang Feng vedi scheda film

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La recensione su Youth

di supadany
6 stelle

Far East Film Festival 20 – Udine.

Con il trascorrere degli anni, ogni essere umano vede mutare la prospettiva offerta dalla finestra che gli consente di osservare ciò che lo circonda. Da giovani si ha una visione immacolata, il cassetto è sovraffollato di aspirazioni ed è giusto avere degli ideali sui quali riporre piena fiducia. In seguito, sopraggiunge un carico di esperienze che alterano la percezione, portandosi fatalmente appresso una carovana di cambiamenti.

Se poi la Storia infila eventi segnanti sul cammino individuale e la società cambia sideralmente forma, le trasformazioni del modo di pensare acquisiscono forme oltremodo accentuate.

Cina, primi anni settanta. Un gruppo di adolescenti, spronati da ideali cristallini, compongono una compagnia d’arte militare. Tra loro emergono la generosa Xiaoping He (Miao Miao) e il coraggioso Feng Liu (Xuan Huang) che successivamente vivranno in prima persona la guerra sino-vietnamita.

Passando per altri eventi di vasta portata, impareranno cosa significhi amare e godere della felicità, ma proveranno sulla loro pelle anche quelle cocenti delusioni che marchiano a fuoco un’anima.

 

scena

Youth (2017): scena

 

Vincitore di parecchi riconoscimenti asiatici (miglior film agli Asian Film awards e ai China film director’s guild awards, con il pieno di allori al festival di Macau), Youth è un titolo che abbina una partitura elegante iniettata su sfondo storico alle forti emozioni che inondano la vita, in particolar modo quando di mezzo si frappongono eventi epocali, d’impatto tale da sconquassare un’intera società.

Un quadro incorniciato guardando l’evoluzione della Cina e collocando in rilievo l’intimità dei suoi protagonisti, con ampio spazio dedicato alla formazione di ragazzi e ragazze che non sono rimasti con le mani in tasca, vivendo in prima linea ogni singolo passo.  

Un lungo ed epico tragitto ordinato con scrupolo, facendo propria quella stessa disciplina che descrive, con l’innocenza destinata a sfumare, porte che si aprono mentre altre si chiudono, sospeso tra la speranza nei confronti del futuro e la tristezza per tutto ciò che svanisce, senza poter essere più recuperato.

Uno sguardo su un altro mondo, per noi occidentali lontanissimo, con una prima parte introduttiva ai caratteri da plasmare, troppo dilatata per ciò che focalizza, seguita dal centro del racconto dominato dall’orrore della guerra, con tanto di un composito piano sequenza orchestrato alla perfezione, e un ultimo atto che tira le somme e dispone la rendicontazione dell’intero viatico, liberando definitivamente le sensibilità prodotte.

Un tipico esemplare di cinema classico che non adotta stratagemmi, impostato con precisione da Xiaogang Feng (I am not Madame Bovary), leggiadro nella lettura delle immagini grazie a movimenti di macchina delicati e puliti, talmente misurato e controllato da subire l’influsso della sua stessa rigidità compositiva, al punto di soffocare sul nascere buona parte del respiro emotivo risiedente nelle sue corde. 

Solenne e accademico, inquadrato e inevitabilmente segnato da una razione di retorica.

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