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The Captain

Regia di Robert Schwentke vedi scheda film

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La recensione su The Captain

di alan smithee
8 stelle

CINEMA OLTRECONFINE

1945: le truppe tedesche marciano in ritirata, ormai consce che i belligeranti sogni di conquista del globo del fuhrer, sono una bolla illusoria destinata a sgonfiarsi velocemente. In una situazione di sbando generale, gli episodi di diserzione abbondano e pure i saccheggi ai danni della popolazione civile. Per questo vengono eretti campi di condanna di tutti coloro colti in flagranza di uno dei due reati, qualora gli stessi colpevoli non siano linciati direttamente da una folla inferocita e depauperata dei già scarsi mezzi di sostentamento.

Sotto questa grigia e tetra cortina di sospetto e diffidenza, seguiamo le gesta, anzi la fuga forsennata del caporale Willi Herold, in fuga dal fronte, inseguito dai suoi stessi commilitoni. Sfuggito per miracolo, infreddolito, scalzo, affamato, dopo svariati incidenti, l’ex soldato ha la fortuna di imbattersi nell’auto impantanata di un ufficiale delle SS: in essa una valigia nasconde viveri e una divisa immacolata, che l’uomo indossa prima di tutto per coprirsi dal freddo.

Da quel momento, poco per volta, l’uomo finirà per identificarsi nell’ufficiale scomparso, finendo lui stesso per divenire il principale elemento di contrasto del banditismo e della diserzione.

In un contesto violento e delirante, acuito dal panico e dalla consapevolezza ormai declarata della sconfitta imminente, sullo sfondo prima, e poi in mezzo ai sanguinosi bombardamenti delle truppe inglesi ed alleate in avanzamento, The Captain ci offre uno scorcio fosco e furente di una umanità imbestialita nei confronti di se stessa.

Robert Schwenke, cineasta tedesco cinquantenne emigrato troppo presto in Usa ed artefice di una buona serie di blockbuster (la serie Divergent, Red, più che il fiasco commerciale R.I.P.D.) in grado certo di arricchirlo, ma non di renderlo un autore, ritrova qui la sua purezza e dirige con stile e ritmo un thriller intimista perfettamente calato in uno dei contesti storici più efferati e sanguinari della storia recente: la fotografia in bianco e nero scandisce e rappresenta alla perfezione la desolazione, il freddo glaciale non solo meteorologico, l’opportunismo e la determinazione a rimanere aggrappati alla vita, così piena di insidie e di incognite in un contesto brutale e primitivo ove i sensi e la prevaricazione regnano sovrane, come all’interno di un girone infernale condannato alla dannazione.

Ottima pure la prova del valido Max Hubacher, giovane protagonista assoluto di un delirio di sopravvivenza ove il fascino e l’attrazione del potere finiscono ancora una volta per innescare nell’uomo reazioni uguali, anzi ancor più efferate, premeditate, deliberatamente folli ed isteriche di quelle subite dallo stesso, per opera dei suoi precedenti persecutori.  

Ottimi effetti speciali utili a rendere quasi materiale l'orrore del ritrovarsi in mezzo ad un bombardamento, tra corpi dilaniati e sventrati, sminuzzati, letteralmente esplosi; non diverso il senso della devastazione e della violenza disumana perpetrata dall'uomo su se stesso, che comunica una foresta  tappezzata da distese di bianchi scheletri inerti, con il cranio aperto come un guscio d'uomo a causa di esecuzioni a raffica. 

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