Regia di Robin Aubert vedi scheda film
Torino Film Festival 35 - After Hours.
«Quando la prima cosa che fai la mattina dopo esserti alzato è uccidere qualcuno, allora capisci che qualcosa è cambiato».
Il filone degli zombie movies non muore mai, pur avendo già scandagliato in lungo e in largo centinaia di declinazioni, al punto che in caso di un'apocalisse di infetti, proprio un cinefilo sarebbe il prototipo dell'essere umano maggiormente indiziato alla sopravvivenza. Già, le regole di ingaggio, quelle azioni assolutamente da non compiere mai per salvarsi la pelle, le conosciamo a menadito.
Invece, in Les affamès non abbiamo dei fulmini di guerra, tuttavia il canadese Robin Aubert - arrivato alla sua quinta regia senza aver ancora lasciato un segno evidente - riesce ad attribuire all'opera una precisa identità, ponendo in atto una manciata di decise variazioni rispetto al target di base.
Canada, territorio del Quebec. I cittadini sono da giorni in preda al panico, dopo che alcuni di loro hanno cominciato a trasformarsi n fameliche creature smaniose di addentare, e quindi contagiare, chiunque incontrino sulla loro strada.
I sopravvissuti sono sempre di meno e fuggire altrove sembra sempre più un'impresa disperata, ma alcuni di loro, tra i quali Bonin (Marc-Andrè Grondin) e Tania (Monia Chokri), non hanno intenzione di arrendersi alla realtà.
Les affamès non può che pescare da un metaforico sacco di farina già saccheggiato da ogni parte, ma a una componente prettamente derivativa residente nel dispositivo narrativo (uno sparuto gruppo di sopravvissuti cerca un luogo sicuro mentre gli zombie li assediano), fa seguito un'impronta d'autore che ricorre a destabilizzanti momenti di sospensione, giostrando tra immagini e suoni.
Prima di tutto, la sterminata foresta canadese é un perorante campo di battaglia, per la sua costituzione primordiale e per la densità, senza scordare gli effetti atmosferici che diminuiscono la visibilità, come una foschia spesso presente. Uno spazio che sembra allontanare la via della salvezza, coadiuvante anche a un altro elemento spiazzante.
Infatti, questa volta gli zombie fanno squadra, oltre a essere in versione agile e scattante (28 giorni dopo), ma soprattutto vedono incrementare il loro livello di inquietudine grazie a una sorta di comportamento da adepti, con la loro storica compulsività che li spinge ad impilare oggetti come per creare un luogo di rito, un punto dove procedere con una catatonica venerazione.
Si tratta di una variazione stordente, che si aggiunge a dei silenzi prolungati, durante i quali non si sente volare una mosca, preceduti da uno start in medias res (nessun preambolo sulla genesi della contingenza) e seguiti da immancabili virate su intonazioni decisamente gore, per quanto quest'ultime non siano la regola.
Inoltre, la visuale si adopera per non essere sempre e solo frontale e in questo zibaldone non possono mancare neanche momenti più leggeri, tra alcune freddure e il classico scemo del villaggio che, nonostante tutto, non ha perso la voglia di scherzare. Ovviamente, non può mancare la carneficina, con legami distrutti e l'impossibilità di piangerli, e nemmeno una fiammella di speranza nel futuro, completando una griglia con una sua precisa fisionomia e automatismi che sfruttano le attese, diradando i tempi con pregevole misura.
Tra stilemi collaudati e una percepibile sensibilità d'autore.
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