Regia di Alice Rohrwacher vedi scheda film
Un film decisamente particolare, che coniuga diverse suggestioni del passato cinematografico (dall'Olmi de "L'albero degli zoccoli" e ancor più "La leggenda del Santo Bevitore" fino al Citti de "Il minestrone") con una visione originale del rapporto tra magia e realtà. Un novello Lazzaro (bravissimo, per inciso, il givoane protagonista) sopravvive ad una morte accidentale e, dopo vent'anni, ritrova parte dell'ampia famiglia contadina che con lui aveva vissuto una sorta di servitù della gleba alle dipendenze di una nobile sfruttatrice (la pur valida Nicoletta Braschi). Tuttavia la bontà d'animo, oltre che l'essere praticamente rimasto fermo nella mente e nel corpo a vent'anni prima, mostreranno come ciò non basti in una società di profittatori (dal più misero dei ladruncoli al più complicato ladrocinio bancario) dove sembra non esserci spazio nè per la semplicità nè per la coerenza (come vent'anni prima Lazzaro è disposto, nella sua ingenuità, a sacrificare tutto pur di seguire le sue semplici regole di lealtà ed amicizia). Ne risulta un film a suo modo poetico, anche nei frangenti più crudi, e sospeso in una sorta di misticismo laico ed urbano, una elegia dei buoni sentimenti e della purezza d'animo (anche la musica segue il protagonista, lasciando l'organo e la chiesa dove non erano stati ammessi lui ed i suoi compagni per inseguire questo novello redentore).
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