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Lazzaro felice

Regia di Alice Rohrwacher vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Lazzaro felice

di axe
7 stelle

In un qualche luogo d'Italia vive una comunità di mezzadri; essi, avvalendosi di mezzi rudimentali, lavorano le terre della famiglia nobile De Luna, con scarsi profitti, essendo sempre "a debito". Non hanno alcuna possibilità di allontanarsi dalla loro masseria, essendo la contrada isolata dal resto del mondo a causa del crollo di un ponte, ne' ne hanno una particolare voglia. Tra loro c'è Lazzaro, un giovane orfano d'indole talmente buona da sembrare ingenuo; per questo motivo, i suoi stessi compagni di lavoro lo sfruttano. Nell'occasione della visita della proprietaria terriera, contessa De Luna, Lazzaro stringe amiciza con Tancredi, il figlio della stessa, ragazzo introverso, malaticcio ed insoddisfatto, consapevole del fatto che la madre, pur nascondendosi dietro un'immagine di rispettabilità e buone maniere, sfrutta i mezzadri e conduce altri affari illeciti. Il giovane Tancredi simula un improbabile rapimento, coinvolgendo il suo amico; l'evoluzione della vicenda porta alla "liberazione" dei mezzadri. Apprendiamo, pertanto, di essere a metà degli anni '90, e non - così come suggerito da costumi e mezzi tecnici - negli anni '50 o '60, e che volontariamente, la famiglia De Luna, ha nascosto l'esistenza dei contadini al mondo moderno, e viceversa. Contestualmente, Lazzaro precipita in uno strapiombo, scomparendo per vent'anni. Lo stesso "risorge" per opera di un lupo di passaggio - emblema della natura - e ha il suo primo pensiero per l'amico Tancredi, che inizia a cercare in città, dopo averla raggiunta, ed essersi fortunosamente riunito ai mezzadri supersititi, ridottisi a vivere "ai margini". Un film dalla trama originale, visionario; una storia raccontata tramite simboli. La regista sembra voler porre a confronto due stili di vita molto diversi tra loro, quello dell'Italia contadina, con i suoi usi e consumi consolidati ed immutabili, contrapposto a quello della modernità, metropolitana e non. Se quest'ultimo è rappresentato nei suoi connotati classici - l'indifferenza, il caos, la frenesia - il mondo contadino non è molto migliore. Lontano da ogni immagine "da cartolina", la vita di campagna è fatica, fame, carenza di beni anche di prima necessità. L'uomo di campagna, però, vive a stretto contatto con la natura. Egli, conoscendola e rispettandola, è in grado di godere dei frutti della stessa; della sua protezione e del suo eterno riprodursi. Giunto in città, l'uomo di campagna è solo. Lazzaro, emblema di questa transizione, e - nella seconda parte del film - chiaramente "posseduto" da un simbolo della natura - è abituato ad un rapporto schietto con l'ambiente che lo circonda, e pertanto non sopravvive al cambiamento. Gli stessi mezzadri, liberati dalla fatica del lavoro nei campi, tanto perchè ignorati, quanto perchè incapaci di adattarsi al nuovo ambiente, rimpiangono le "loro" terre, per quanto amare esse siano state. Ben realizzata è la caratterizzazione dei personaggi, per primo Lazzaro, un giovane di buona indole, ma incapace di osservare con sguardo critico il mondo. Non è infatti in grado di cogliere i mutamenti conseguenti al cambio di ambiente. Si aggira per la città smarrito; affronta i nuovi problemi e le ingiustizie che gli si pongono innanzi con la semplice logica di chi non conosce la complessità della società moderna, con i suoi meccanismi e le sue paure. La complessità della trama mette a dura prova l'immaginazione dello spettatore. Infatti, nella prima parte del film, ambientata in un ambiente collinare desolato e brullo, convivono elementi riconducibili agli anni '60 e precedenti con elementi propri degli anni '90. Chi guarda il film ha l'impressione di trovarsi in un luogo immaginario. Solo dopo è spiegato che i mezzadri erano stati volontariamente isolati e privati delle ultime innovazioni tecnologiche; elemento fantastico è invece la "resurrezione" di Lazzaro, ad opera di uno spirito che incarna la natura; ha così spiegazione tutto ciò che Lazzaro vede successivamente. La casa padronale abbandonata da tempo e saccheggiata; il factotum della contessa De Luna nel ruolo di un aziano "caporale", il gridare al miracolo dei mezzadri, che dopo tanti anni si ricongiungono con un Lazzaro ancora giovane - ma, al tempo stesso, rammaricarsi per la necessità di dover sfamare un'altra bocca; il ritrovamento di un Tancredi maturo, e lo scoprire quale triste sorte è toccata alla famiglia De Luna, anch'essa travolta dal passare del tempo. Pur non essendo elemento centrale dell'opera, la regista non manca di fare denunzia sociale, toccando i temi del "caporalato" nell'agricoltura intensiva moderna, e dei mali della finanza, quale elemento, tra i tanti, che allontanano l'uomo moderno dalle sue radici. In particolare, la conclusione è simbolo dell'incomprensione insanabile tra due sistemi di pensiero e di vita che non hanno nulla in comune. Ho apprezzato montaggio, la scelta dei costumi e degli ambienti, i dialoghi, ridotti all'essenziale. L'indeterminatezza di tempi e luoghi (i "villici" sembrano adottare un accento ternano, ma non mancano cadenze del Nord Italia o di Roma) accentua il valore simbolico degli elementi, ma rende ardua la comprensione della trama. Tra gli attori, ho apprezzato A.Tardiolo, nelle vesti di Lazzaro, e Alba Rohrwacher, nei panni di una giovane campagnola che ha saputo adattarsi alla vita di città, seppur di strada. Il ritmo del film è molto lento, i dialoghi brevi e concisi, a volte permeati di un'ironia amara, la colonna sonora poco presente, la trama articolata e surreale, l'utilizzo dei simboli costante. Queste caratteristiche rendono la visione del film non alla portata di tutti. Un'opera complessa ed ambiziosa, che ci parla di natura, di cambiamenti e reazione agli stessi da parte dell'uomo.

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