Regia di Eli Roth vedi scheda film
Ad un abile chirurgo del pronto intervento dell’ospedale di riferimento della città di Chicago, l’irruzione in casa di un gruppo di malviventi procura un devastante lutto familiare: bella moglie uccisa da un colpo d’arma da fuoco, adorata figlia in coma a seguito di percosse.
Questa disgrazia indurrà l’uomo, di carattere pacifico, conciliante, ed anzi un eroe nel salvare vite altrui, a comprendere che, per assicurarsi giustizia e garantirsi la sopravvivenza, è necessario armarsi per difendersi da soli, piuttosto che contare sull’aiuto di forze dell’ordine volenterose, ma impossibilitate a garantire la sicurezza ed il benessere della collettività.
Tra il generale e dilagante vuoto creativo che affligge ormai da anni sceneggiatori ed uomini di cinema della Hollywood dei grandi nomi, riesumare le gesta dell’anziano vendicatore privato che agisce d’istinto dopo essere stato vittima della distruzione del proprio nucleo familiare, rappresentava un passo prevedibile, quasi scontato laddove il costume del remake diviene un appuntamento ormai indispensabile e irrinunciabile.
La circostanza, oltretutto, fornisce ad un Bruce Willis (fisicamente impeccabile nei suoi oltre 60 anni a fare il 50enne, in forma, ma davvero pessimo come attore) disposto ad esprimersi per tutto il film con la sola espressione che riesce ad emergere dalla sua pietrificata connotazione facciale (quella con smorfia ironica a volte utile, altre incongrua come quando la mantiene anche mentre seppellisce la adorata consorte), l’occasione di precostituirsi - nel caso l’eventuale primo capitolo dovesse tramutarsi in primo capitolo di una serie numerosa come l’originale con Charles Bronson - un viatico previdenziale come lo fu per il celebre attore baffuto re dell’action e del western.
Peccato che il messaggio al centro del film – ovvero “farsi giustizia da soli paga di più che aspettare la protezione della legge” - si scontri violentemente, oltre con lo stile di pensiero scellerato di stampo presidenziale, con inquietante assiduità proprio nei tempi odierni, grazie anche all’ordinario convivere sociale con strumenti d’arma da fuoco disponibili semplicemente al banco di ogni supermercato, con una realtà insanguinata da news incentrate su stragi perpetrate da folli a danno di innocenti malauguratamente di passaggio.
A poco serve l’ironia che un tutt’altro che fesso come Joe Carnahan (il suo pulp Smokin’ Aces non era affatto male, mentre la sua trasposizione cinematografica di A-Team decisamente si) si prodiga a tentare di inserire nello script, quando i personaggi sono triti e poco interessanti, inconsciamente tratteggiati ad avvalorare lo svolgimento prevedibile della storiella; poco più utile si dimostra l’intervento in regia di un Eli Roth che si distingue un po' col suo stile sanguinolento piuttosto carino che da sempre gli riconosciamo come appropriato marchio di fabbrica.
Con questo giustiziere, l’ironia soccombe sull’inquietudine esercitata dai fatti di sangue della vita occidentale ed americana di tutti i giorni, che prende inesorabilmente il sopravvento sulla fiction, superando nella sua efferatezza, la fantasia scriteriata e fuori luogo di stolti sceneggiatori in carenza creativa ormai dilagante, convinti che un po' di fiacca ironia possa distogliere da un pensiero inquietante (la circolazione indiscriminata di armi da fuoco letali e da killers) inerente episodi sconcertanti di violenza resi possibili da troppo lassismo e faciloneria ingiustificata, anzi colpevole e criminale.
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