Regia di Andrzej Wajda vedi scheda film
Al funerale di un suo caro amico, il quarantenne Wiktor Ruben viene colto da malore. Il medico lo consiglia di prendersi un periodo di riposo. Qui inizia il viaggio del protagonista della vicenda, un viaggio che si preannuncia principalmente mentale, scandito metaforicamente dal valico di un fiume a mezzo di una chiatta, un confine oltre che fisico temporale (tutto scorre) che lo riporta fisicamente ed emotivamente nel suo passato.
Qui infatti ritrova dopo 15 anni gli amati zii e soprattutto le cinque sorelle sue vicine, con le quali aveva condiviso la sua infanzia. Andando a trovare loro il mattino dopo il suo arrivo (dopo un primo incontro serale nel quale lui si materializza dal buio come il fantasma che in fondo è) incrocia lungo la strada altri due simboli rivelatori: un uomo anziano che cammina con un bastone (non dimenticatevene, ritornerà) e un pavone che fugge al suo passaggio. Questi sono i due sentimenti che domineranno la vicenda: il senso della vecchiaia e della caducità delle cose e la vanità. Tutte le fanciulle della casa sono state innamorate di lui ed il suo ritorno riscuote gli animi: anche se cresciute, invecchiate, sposate o inacidite, non sanno resistere al richiamo del passato. E Wiktor non si tira certo indietro in quanto ognuna di loro risponde a un suo desiderio e soddisfa una sua vanità.
Ma al contempo si rivela un gioco sterile in quanto Wiktor e letteralmente un reduce del passato, ormai talmente vecchio dentro da essere impossibilitato a dare un seguito più profondo alle sue azioni. Tutto si rivela infatti essere un atto di vuoto autocompiacimento, impossibile da concretizzare in un vero cambiamento della propria vita. Alla sua figura si contrappone quella dello zio, realmente anziano ma affamato di vita: di notte non dorme sia per ripensare ai momenti di felicità del passato, sia soprattutto per poter cogliere l'arrivo della morte con mente vigile e non essere preso alla sprovvista. Wiktor invece ha già rinunciato, i suoi ricordi sono pregni di rimpianto e non di nostalgia e sono dati come immutabili, una sorta di Oblomov emotivo, inerte verso possibili felicità concrete.
Apro una piccola parentesi. Non escluderei del tutto anche una possibile lettura in chiave omosessuale (velatissima chiaramente, si tratta pur sempre di un film di stato sotto il controllo del regime socialista), che spiegherebbe in altro modo sia il suo malore iniziale alla morte dell'amico che questa suo timore ad impegnarsi concretamente con le cinque sorelle.
Quando la situazione emotiva giunge al culmine, Wiktor fugge verso la città, rivalicando il fiume della memoria e ritornando al suo presente di solitudine.
Ma prima di lasciarci, lo vediamo sul treno scorgere seduto tra i passeggeri il vecchio che avevamo osservato all'inizio (vi avevo avvertiti, rieccolo): la telecamera si sofferma sull'anziano, come a suggerirci che esso non sia altro che una proiezione dell'animo di Wiktor, prematuramente invecchiato e fatalista.
Ma attenzione, qui Wajda offre un ultimo geniale colpo di coda. L'anziano che vediamo infatti altri non e che Jaroslaw Iwaszkiewicz in persona, il grande poeta e scrittore polacco autore del racconto da cui il film è tratto. Ecco che quindi si viene a creare un clamoroso corto circuito narrativo metaletterario dove non è più il giovane ad immaginare un se stesso invecchiato ma è in realtà l'anziano ad aver sognato un possibile se stesso giovane.
Per finire una piccola curiosità. Il film è stato nominato agli oscar nel 1979 come miglior film straniero ed ha perso contro Il tamburo di latta con tra i protagonisti nuovamente Daniel Olbrychski.
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