Regia di Friedrich W. Murnau vedi scheda film
Uno schema elementare: lui, lei, l’altra. Archetipici anche i personaggi, nella loro assenza di identità: l’Uomo, la Moglie, la Donna di città. Al suo esordio americano, Murnau firma un film che con la sua sublime essenzialità parla al cuore di chiunque, in qualunque epoca e paese: perdersi e ritrovarsi, sullo sfondo di una città gioiosa ma un po’ frastornante; di nuovo perdersi e di nuovo ritrovarsi, dopo che la vicenda stava per prendere una svolta tragica e dopo che ciò che si era progettato di compiere ha rischiato di realizzarsi contro la propria mutata volontà. Su uno spunto simile, condotto però fino alle estreme conseguenze (lui vorrebbe sbarazzarsi di lei, poi desiste, ma la natura si incarica di farlo al suo posto), si basa il romanzo Una tragedia americana (1925) di Dreyer, portato sullo schermo da Sternberg e poi da Stevens; qui invece non si saprebbe fare a meno del lieto fine potentemente rasserenante, sullo sfondo di un’alba che, come in certi drammi shakespeariani, sembra promettere un futuro migliore. Un film che fa il paio con La folla (1928) di Vidor, altra storia di riconciliazione, alla vigilia del generale incupimento di clima provocato dalla grande depressione.
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