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Ventiquattro occhi

Regia di Keisuke Kinoshita vedi scheda film

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La recensione su Ventiquattro occhi

di ilcausticocinefilo
10 stelle

Seppur meno conosciuto all'estero, e in particolare in Occidente, Kinoshita è certamente uno dei più impor­tanti registi giapponesi del dopoguerra, al pari di mo­stri sacri come Kurosawa, Ozu e Mizoguchi, e pertan­to un protagonista del cinema locale di quel periodo.

E questo Ventiquattro occhi, insieme al successivo La leggenda di Narayama, può essere tranquillamente considerato il vertice della sua arte.

 

 

locandina

Ventiquattro occhi (1954): locandina

 

 

Un'opera profon­da e toccante, che, come tipico dello stile del regista, procede a ritmo sostenuto e pacato, utilizzando am­piamente long takes e campi e piani medi e lunghi, per narrare la propria storia, e controllare così abil­mente il gran numero di personaggi, offrire un mini­mo approfondimento di diversi di loro e soprattutto offrire l’occasione all’ottima fotografia di Hiroyuki Kusuda di mostrare allo spettatore lunghe riprese di paesaggi che talvolta paiono quasi dipinti.

 

La sceneg­giatura di Kinoshita, ispirata all’omonimo romanzo di Tsuboi, rende presente la storia senza mai porla in pri­mo piano, mostrando invece e unicamente gli effetti che il progredire degli eventi hanno sulle vite dei pro­tagonisti, e costruendo così un affresco delicato ma mai veramente nostalgico del Giappone di que­gli anni, colto in una delle fasi più tragiche della sua vicenda storica.

 

La nostalgia che si può avvertire lun­go il film è rivolta al tempo perduto e alla perdita degli affetti e dei legami, nell’ambito di un infan­tile speranza di poter tornare indietro ad un periodo in cui se non si stava proprio benissimo, almeno si sta­va tutti insieme (toccante, a questo proposito, la vicenda di Matsue), questo è vero, ma mai il regista sembra realmente suggerire, tra le righe, di credere alla possibilità (oltreché all’opportunità) di recupe­rare una supposta passata “età dell’oro” e mai, di conseguenza (al contrario di quanto pare qualcuno abbia sostenuto al tempo dell’uscita) assume un atteggiamento assolutorio o poco deciso nei confronti di quell’epoca.

 

Diversi dialoghi e situazioni all’interno del film (emblematici gli incontri con un presi­de freneticamente preoccupato di seguire le direttive), si rilevano a volte neanche troppo sottili stoccate al clima politico imperialista e militarista di quegli anni.

 

Ma si tratta di brevi spezzoni, poche scene all’interno del quadro più ampio di un film di oltre due ore e mezza che per la gran parte della sua dura­ta si concentra invece sui sentimenti e le relazioni che si instaurano sia tra i dodici bambini che tra i bambini e la loro maestra (trascinante, tra le altre, la sequenza in cui si imbarcano in un lungo viaggio per andarla a trovare).

Maestra che, inizialmente, per i suoi modi (osa addirittura guidare una biciclet­ta!) e il suo modo di abbigliarsi, non viene affatto ben accolta dalla piccola e chiusa comunità dell’isola (e questo punto, seppur di sottecchi, offre spunti di riflessione su un altro aspetto di quei tempi, ovve­ro la condizione della donna e lo stupore ancora presente, quantomeno nelle aree rurali, di fronte a qua­lunque cosa moderna o, ancor di più, occidentale).

 

A tratti quasi un musical, lungo il suo corso il film fa largo uso di canzoni e canzoncine (cantate in coro dai ragazzi) che contribuiscono a creare l’atmosfera e a smuovere lo spettatore nelle scene più drammatiche, a trasmettere alternativamente una gioiosa vi­talità o una profonda tristezza. E se talvolta pare lì lì per cedere al patetismo, sempre si dimostra al con­trario in grado di suscitare autentica commozione.

 

Ventiquattro occhi è un capolavoro umanista e paci­fista, un film, come detto, pacato eppure potente, recitato benissimo dalla protagonista Hideko Takami­ne (una delle più celebri attrici nipponiche e sorta di musa per il regista Mikio Naruse) ma anche dai ra­gazzini, un’opera di grande rilevanza, emblematica di una delle fasi più fertili del cinema giapponese (al pari di molto più celebri e celebrati film come I sette samurai e Viaggio a Tokyo).

 

Presentato al festi­val di Venezia nel 1955, molto popolare (in patria) al tempo dell’uscita, col tempo è stato scandalosa­mente relegato in secondo piano e semi-dimenticato e, altrettanto scandalosamente, in Italia non è mai stato neppure distribuito.

Da recuperare assolutamente su DVD straniero, restaurato dalla benemerita Criterion. Remake a colori (introvabile) di Yoshitaka Asama nel 1987.

 

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